Arizona e Utah: itinerario tra i grandi parchi nazionali.
Il grande Ovest, la frontiera, il Far West. Il mito americano per eccellenza, esaltato in chilometri di pellicole cinematografiche. La conquista, metro dopo metro, di sterminate terre di primitiva bellezza, da parte di indomiti pionieri alla ricerca di un luogo in cui vivere in modo dignitoso, magari grazie alla scoperta di qualche pepita d’oro. Una sorta di grande migrazione che, nella sua avanzata, ha macinato migliaia di chilometri e decine di popolazioni. Perché ogni frontiera ha il suo “prezzo” e l’ovest degli Stati Uniti l’ha pagato con il massacro, doloroso e spesso silenzioso, di antiche culture, come quelle Navajo e Apaches.
Testo e fotografie di Angelo Fanzini
Testo e fotografie di Angelo Fanzini

Una terra che, nell’ottocento, ha offerto il proprio contributo di sangue alla storia, ha risposto alla sua “chiamata darwiniana”, in cui il più forte sopravvive a scapito del più debole, rispondendo a quella legge che, da millenni, regola tutte le controversie della specie Sapiens.
L’arrivo dei coloni e della ferrovia, infatti, limitò sempre più il territorio della popolazione indigena della quale, attraverso la promulgazione dell’Indian Appropriation Act, del 1851, fu decretato l’invio nelle riserve.
Una terra, allo stesso tempo, temibile e affascinante che, nelle pieghe delle sue rocce, lascia trasparire i segni travolti dall’avanzata della “civiltà” e mostra, con straordinaria sfacciataggine, l’immenso lavoro della natura, la sua capacità di modellare la pietra, di scavare la materia, di levigare le montagne, di pietrificare il legno e di fotografare, come fossilizzato sulle ripide scarpate del Grand Canyon, la storia di questo nostro piccolo, meraviglioso pianeta.
L’arrivo dei coloni e della ferrovia, infatti, limitò sempre più il territorio della popolazione indigena della quale, attraverso la promulgazione dell’Indian Appropriation Act, del 1851, fu decretato l’invio nelle riserve.
Una terra, allo stesso tempo, temibile e affascinante che, nelle pieghe delle sue rocce, lascia trasparire i segni travolti dall’avanzata della “civiltà” e mostra, con straordinaria sfacciataggine, l’immenso lavoro della natura, la sua capacità di modellare la pietra, di scavare la materia, di levigare le montagne, di pietrificare il legno e di fotografare, come fossilizzato sulle ripide scarpate del Grand Canyon, la storia di questo nostro piccolo, meraviglioso pianeta.
Il nostro percorso che si addentra nel grande ovest degli Stati Uniti,
tra Arizona e Utah, viene descritto, in dettaglio, nel paragrafo
“L’itinerario tappa per tappa”, nel frattempo il nostro racconto
continua in una serie di spunti di viaggio e di riflessione,
attraverso la storia e la natura.
Gli Anasazi I nativi di queste terre sono lontani anni luce dal comune stereotipo, che vuole gli “indiani” nomadi alla perenne caccia del bisonte, inseguito su focosi cavalli montati a pelo. Gli abitanti del sud-ovest degli Stati Uniti erano, infatti, soprattutto contadini, intenti alla coltura di fagioli, mais, zucche, cotone e tabacco e vivevano in dimore stabili organizzate in villaggi, che gli spagnoli ribattezzarono pueblos. La cultura dei pueblos - discendente dagli abris (case ricavate da protezioni naturali) e dai pithouses (case a fossa) – si sviluppò particolarmente tra il 1100 e il 1300 ad opera degli Anasazi, gli “antichi”, in lingua Navajo.
I pueblos, di cui si trovano molte testimonianze in tutta l’area attraversata dal nostro itinerario, erano formati da strutture abitative costruite con mattoni che utilizzavano la cosiddetta tecnica adobe (argilla mista ad acqua, paglia e sabbia, e poi cotta al sole). L’adobe si caratterizza per eccezionali proprietà climatizzanti che permettono di isolare la casa dal freddo durante la stagione invernale e di mantenere gli ambienti freschi durante le torride giornate estive, per poi ridistribuire il calore di notte e fronteggiare così le elevate escursioni termiche.
Navajo, il “Popolo della terra”, attualmente rappresenta la popolazione indiana numericamente più importante di tutti gli Stati Uniti (circa 200.000 persone). Seminomadi, giunsero in quest’area provenienti dall'attuale Canada attorno al 1500 e attraverso il contatto con le popolazioni stanziali appresero i segreti della coltivazione dei campi e le abilità artigianali tipiche dei pueblos. Gli antichi costumi, tramandati oralmente, rivivono oggi in norme e cerimonie, nei pow wow (raduni) e nelle Danze del sole, a lungo osteggiate dal governo statunitense.
Quella Hopi - il cui nome pare derivare dal termine “Moki”, gente di pace – è l’etnia che meglio ha saputo preservare i propri costumi. Da oltre mille anni gli Hopi vivono sugli altopiani dell’Arizona e le loro tradizioni traggono nutrimento da questa cultura antica, che affonda le proprie radici in una profonda spiritualità, che rivive in cerimonie dai nomi suggestivi. Attualmente sono circa 10.000 gli Hopi che vivono in villaggi inseriti nella grande Riserva Navajo. La riserva che li ospita, comprendente il Canyon de Chelly e la Monument Valley, è un territorio piuttosto arido, la cui unica ricchezza si trova nel sottosuolo sotto forma di petrolio, gas e carbone, di cui beneficiano solo le grandi aziende estrattive. La vista di disoccupati e alcolisti è uno spettacolo, purtroppo, abituale.
I pueblos, di cui si trovano molte testimonianze in tutta l’area attraversata dal nostro itinerario, erano formati da strutture abitative costruite con mattoni che utilizzavano la cosiddetta tecnica adobe (argilla mista ad acqua, paglia e sabbia, e poi cotta al sole). L’adobe si caratterizza per eccezionali proprietà climatizzanti che permettono di isolare la casa dal freddo durante la stagione invernale e di mantenere gli ambienti freschi durante le torride giornate estive, per poi ridistribuire il calore di notte e fronteggiare così le elevate escursioni termiche.
Navajo, il “Popolo della terra”, attualmente rappresenta la popolazione indiana numericamente più importante di tutti gli Stati Uniti (circa 200.000 persone). Seminomadi, giunsero in quest’area provenienti dall'attuale Canada attorno al 1500 e attraverso il contatto con le popolazioni stanziali appresero i segreti della coltivazione dei campi e le abilità artigianali tipiche dei pueblos. Gli antichi costumi, tramandati oralmente, rivivono oggi in norme e cerimonie, nei pow wow (raduni) e nelle Danze del sole, a lungo osteggiate dal governo statunitense.
Quella Hopi - il cui nome pare derivare dal termine “Moki”, gente di pace – è l’etnia che meglio ha saputo preservare i propri costumi. Da oltre mille anni gli Hopi vivono sugli altopiani dell’Arizona e le loro tradizioni traggono nutrimento da questa cultura antica, che affonda le proprie radici in una profonda spiritualità, che rivive in cerimonie dai nomi suggestivi. Attualmente sono circa 10.000 gli Hopi che vivono in villaggi inseriti nella grande Riserva Navajo. La riserva che li ospita, comprendente il Canyon de Chelly e la Monument Valley, è un territorio piuttosto arido, la cui unica ricchezza si trova nel sottosuolo sotto forma di petrolio, gas e carbone, di cui beneficiano solo le grandi aziende estrattive. La vista di disoccupati e alcolisti è uno spettacolo, purtroppo, abituale.
Il Grand Canyon è un viaggio nel tempo. Non il tempo degli uomini, quello che si conta in giorni e mesi, ma il tempo della natura, di questa forza meravigliosa che ha scolpito 450 chilometri di strapiombo, in quasi due miliardi di anni. Il fiume Colorado, l’orogenesi e il vento hanno modellato questo autentico capolavoro, che racchiude la storia stessa della Terra, scandita dalle differenti tonalità di colore che dipingono le ere geologiche impresse sulle sue pareti.
Situata nel cuore dell’Arizona Centrale, a 1300 metri di altitudine e circondata da imponenti formazioni rocciose dal caratteristico colore rosso, Sedona ha molto da offrire ai visitatori anche dal punto di vista artistico. Tempio della cultura New Age, la città propone un ricco calendario di eventi, tra cui spiccano le “Serata nelle Gallerie” (Evening in the Galleries), iniziativa che, ogni primo giovedì del mese, permette di visitare gratuitamente nove delle sue 40 gallerie d’arte. Il famoso pittore surrealista Max Ernst vi si stabilì all’inizio del Novecento, seguito, tra gli altri, da Joe Beeler, Charlie Dye, Johnny Hampton e George Phippen, fondatori di “Cowboy Artists of America”.
La Foresta Pietrificata, ma ancor più il Painted Desert, sono un tributo alla tavolozza della natura. La magia del colore trova qui la sua massima espressione, e poco importa la natura scientifica del fenomeno (i colori sono essenzialmente dovuti a processi di ossidazione dei minerali e all’accumulo di sostanze organiche), quello che conta è la sensazione che si prova osservando pietre che trasmettono emozioni e ci fanno rivivere, attraverso lo sguardo di Medusa, in una foresta subtropicale, strappata ai millenni della Terra. Quest’area assume notevole importanza storica per la presenza di antichi insediamenti della popolazione Hopi.
Una gola profonda oltre 300 metri, rosse pareti di roccia, guglie di pietra che si innalzano tra le leggende del popolo Navajo. Questo è il Canyon de Chelly National Monument, punteggiato da siti archeologici, abitazioni rupestri e avvolto da un’atmosfera, che non è improprio definire mistica. Per i Navajo il canyon assume poi un’importanza storica assoluta. Proprio in questa gola i Navajo subirono la loro più grande disfatta militare: nel 1863 le truppe del generale Carleton distrussero coltivazioni, villaggi e bestiame, e presero prigionieri oltre 6.000 Navajo, che furono costretti alla “Long Walk”, la lunga marcia che, non senza un pesante contributo di sangue, li portò fino a Bosque Redondo, in New Mexico, a quasi 400 miglia di distanza. Solo nel 1868 i Navajo poterono far ritorno in quella terra che è ora la loro riserva.
Ancora una volta è la roccia l’assoluta protagonista della Monument Valley Navajo Tribal Park, questo arido paesaggio compreso tra Utah e Arizona. “Butte” e totem di pietra, che nelle suggestive ore dell’alba o del tramonto si infiammano in tonalità dal rosso al viola, si innalzano nel cielo sino a 600 metri di altezza, per formare uno dei più tipici e fotografati paesaggi di tutti gli Stati Uniti.
Se l’arco a tutto sesto è una caratteristica architettonica romana e quello a sesto acuto definisce la concezione medioevale, l’Arches National Park illustra le infinite capacità della natura di disegnare archi con la sua materia prima preferita: la pietra. Assestamenti tettonici in collaborazione con vento, pioggia e sbalzi termici hanno eretto spettacolari archi rocciosi di arenaria rossa, che fanno di questo parco uno spettacolo di assoluta e impedibile bellezza.
Il più vasto, arido e selvaggio parco dello Utah, in cui il fiume Colorado e il suo affluente Green River si sono divertiti a scavare la roccia. Archi, pinnacoli, guglie, crateri, altopiani, labirinti rocciosi… Canyonlands, benché il nome ammicchi a un parco dei divertimenti di ultima generazione, è la Terra al suo stato primordiale, quasi priva di vegetazione, ma capace di ospitare coyote, volpi, sauri e serpenti. E dove le forze della Terra non sono state sufficienti ecco intervenire anche la mano extraterrestre: l’Upheaval Dome è infatti un cratere, profondo 300 metri, creato dalla caduta di un meteorite. Infine l’impronta umana: eccezionali disegni rupestri che raccontano, sulla Newspaper Rock, la vita quotidiana di Anasazi, Fremont, Paiute e Navajo, attraverso impronte, animali, uomini, scene di caccia.
Canyon è un appellativo che mal si addice al Brice Canyon National Park che, infatti, si presenta come un immenso anfiteatro sull’altopiano di Paunsaugunt, in cui l’erosione ha scolpito una delle sue più spettacolari opere. Le hoodoo sono le formazioni rocciose caratteristiche del Brice Park, migliaia di spirali calcaree, intervallate a mirabili castelli di pietra colorata in tonalità che dalla terracotta sfumano nel giallo e nel rosa e che mutano al variare della luce del giorno. In questo regno della pietra vivono i limber pines, conifere che riescono a rimanere attaccate anche alle più impervie pareti, per dare riparo a cervi, marmotte, linci, volpi, coyote e a una particolare specie di scoiattoli, le tamie striate. Nei cieli del Brice volano falchi, astori e sparute aquile.
La grandiosità della roccia si esalta nello Zion National Park scavato dalle acque del Virgin River. Perfetto per chi ama il trekking, lo Zion offre infatti percorsi per tutti i gusti e di qualsiasi difficoltà, che si snodano tra pareti vertiginose, altopiani, torri di roccia, piccoli laghetti e cascatelle d’acqua. Il nome, di biblica memoria (Sion), si deve alla massiccia presenza dei Mormoni che giunsero in questa zona a metà dell’Ottocento.
L’itinerario tappa per tappa
1-2 giorno
Flagstaff, nel nord dell'Arizona, è il punto di partenza e di arrivo dell'itinerario e base privilegiata, anche per la disponibilità di alloggi, per escusioni al Grand Canyon: il south Rim e il visitor center principale del Grand Canyon distano circa 80 miglia da Flagstaff, si segue la Highway 180.
Di ritorno dal Grand Canyon, lungo la Highway 89, 12 miglia a nord della città, si può visitare anche il Wupakti National Monument. Vale la pena effettuare un'escursione anche a Sedona (27 miglia a sud ovest, lungo la Highway 89A) attraversando lo spettacolare Oak Creek Canyon.
3 giorno
Da Flagsatff si prende la Statale 180 verso est, dopo circa 110 miglia si raggiunge il Petrified Forest National Park. La strada, che attraversa il parco da sud a nord, dopo circa 30 miglia sbocca sulla Highway 40. Si prende in direzione Gallup e dopo circa 23 miglia, a Chambers, si devia sulla 191, da cui, dopo 80 miglia, si raggiunge Chinle. Totale tappa circa 250 miglia.
4 giorno
Chinle è la base per escursioni al Canyon de Chelly National Monument la cui importanza per via di numerosi siti archeologici, abitazioni rupestri e rilevanza storica, necessita almeno di un giorno di permanenza.
5 giorno
Da Chinle si riprende la Highway 191 in direzione nord. Percorse circa 14 miglia si devia sulla Highway 59 che incrocia, dopo circa 57 miglia, la 160. Si tiene per Kayenta, da dove si prende la Highway 163 che porta nel cuore della Monument Valley Navajo Tribal Nation, a cavallo tra Arizona e Utah. Da non perdere la facile escursione su strada sterrata, di circa 17 miglia, che attraversa la Monument Valley e permette di ammirare da vicino i monoliti di arenaria, i “Butte”.
Percorrendola si incontrano affascinanti monoliti dai nomi fantasiosi. Nell’ordine: Sentinel Mesa, Merrik, Elephant, Camel, John Ford’s Point, i pinnacoli detti Three Sisters, i tavolati Rain God e Thunderbird e il totem Pole. Tornando verso la strada principale si incontrano poi la Spearhead Mesa e l’Artist Point. Rientrati sulla 163 si prosegue verso nord nello stato dello Utah, fino a incrociare la 191 che si segue fino a Moab. Totale tappa circa 260 miglia.
6-7 giorno
Moab è una cittadina turistica in posizione privilegata in mezzo a due tra i parchi più spettacolari dell'ovest: Arches National Park, Canyonlands e Dead Horse Point. Vale la pena dedicare a queste escursioni, ricche di punti panoramici, almeno due giorni. Nell’Arches da non perdere le sculture di pietra Balanced Rock, Delicate Arch e Landscape Arch. Tantissime le attrazioni di Canyonlands: Shaker Canyon, Upheavel Dome, The Needles, il cosiddetto Labirinto e i disegni rupestri dell’Horseshoe Canyon e della Newspaper Rock.
8 giorno
Da Moab si riprende la 191 in direzione nord per circa 30 miglia fino ad incrociare la Highway 70, che si segue per 34 miglia fino a deviare sulla 24, che attraversa il parco nazionale di Capitol Reef.
Dopo circa 93 miglia, a Torrey si incrocia la Highway 12, che si segue per 105 miglia fino al Brice Canyon. Si continua sulla 12 fino ad incrociare la 89. Dopo circa 7 miglia si arriva a Panguitch. Totale tappa: circa 283 miglia.
9 giorno
Da Panguitch si scende verso sud per circa 50 miglia sulla Highway 89, fino ad incrociare la Highway 9 per Springdale, una trentina di miglia, e l'ingresso dello Zion National Park. Si ritorna sulla 9 fino all'incrocio con la 89 per il Lake Powell. Il lago fa parte della Glen Canyon National Recreation Area. Si prosegue per la città turistica di Page. Circa 133 miglia separano Page da Flagstaff, si scende a sud lungo la Highway 89. Totale tappa circa 329 miglia.
Legenda: 1 miglio=1,6093 km
Situata nel cuore dell’Arizona Centrale, a 1300 metri di altitudine e circondata da imponenti formazioni rocciose dal caratteristico colore rosso, Sedona ha molto da offrire ai visitatori anche dal punto di vista artistico. Tempio della cultura New Age, la città propone un ricco calendario di eventi, tra cui spiccano le “Serata nelle Gallerie” (Evening in the Galleries), iniziativa che, ogni primo giovedì del mese, permette di visitare gratuitamente nove delle sue 40 gallerie d’arte. Il famoso pittore surrealista Max Ernst vi si stabilì all’inizio del Novecento, seguito, tra gli altri, da Joe Beeler, Charlie Dye, Johnny Hampton e George Phippen, fondatori di “Cowboy Artists of America”.
La Foresta Pietrificata, ma ancor più il Painted Desert, sono un tributo alla tavolozza della natura. La magia del colore trova qui la sua massima espressione, e poco importa la natura scientifica del fenomeno (i colori sono essenzialmente dovuti a processi di ossidazione dei minerali e all’accumulo di sostanze organiche), quello che conta è la sensazione che si prova osservando pietre che trasmettono emozioni e ci fanno rivivere, attraverso lo sguardo di Medusa, in una foresta subtropicale, strappata ai millenni della Terra. Quest’area assume notevole importanza storica per la presenza di antichi insediamenti della popolazione Hopi.
Una gola profonda oltre 300 metri, rosse pareti di roccia, guglie di pietra che si innalzano tra le leggende del popolo Navajo. Questo è il Canyon de Chelly National Monument, punteggiato da siti archeologici, abitazioni rupestri e avvolto da un’atmosfera, che non è improprio definire mistica. Per i Navajo il canyon assume poi un’importanza storica assoluta. Proprio in questa gola i Navajo subirono la loro più grande disfatta militare: nel 1863 le truppe del generale Carleton distrussero coltivazioni, villaggi e bestiame, e presero prigionieri oltre 6.000 Navajo, che furono costretti alla “Long Walk”, la lunga marcia che, non senza un pesante contributo di sangue, li portò fino a Bosque Redondo, in New Mexico, a quasi 400 miglia di distanza. Solo nel 1868 i Navajo poterono far ritorno in quella terra che è ora la loro riserva.
Ancora una volta è la roccia l’assoluta protagonista della Monument Valley Navajo Tribal Park, questo arido paesaggio compreso tra Utah e Arizona. “Butte” e totem di pietra, che nelle suggestive ore dell’alba o del tramonto si infiammano in tonalità dal rosso al viola, si innalzano nel cielo sino a 600 metri di altezza, per formare uno dei più tipici e fotografati paesaggi di tutti gli Stati Uniti.
Se l’arco a tutto sesto è una caratteristica architettonica romana e quello a sesto acuto definisce la concezione medioevale, l’Arches National Park illustra le infinite capacità della natura di disegnare archi con la sua materia prima preferita: la pietra. Assestamenti tettonici in collaborazione con vento, pioggia e sbalzi termici hanno eretto spettacolari archi rocciosi di arenaria rossa, che fanno di questo parco uno spettacolo di assoluta e impedibile bellezza.
Il più vasto, arido e selvaggio parco dello Utah, in cui il fiume Colorado e il suo affluente Green River si sono divertiti a scavare la roccia. Archi, pinnacoli, guglie, crateri, altopiani, labirinti rocciosi… Canyonlands, benché il nome ammicchi a un parco dei divertimenti di ultima generazione, è la Terra al suo stato primordiale, quasi priva di vegetazione, ma capace di ospitare coyote, volpi, sauri e serpenti. E dove le forze della Terra non sono state sufficienti ecco intervenire anche la mano extraterrestre: l’Upheaval Dome è infatti un cratere, profondo 300 metri, creato dalla caduta di un meteorite. Infine l’impronta umana: eccezionali disegni rupestri che raccontano, sulla Newspaper Rock, la vita quotidiana di Anasazi, Fremont, Paiute e Navajo, attraverso impronte, animali, uomini, scene di caccia.
Canyon è un appellativo che mal si addice al Brice Canyon National Park che, infatti, si presenta come un immenso anfiteatro sull’altopiano di Paunsaugunt, in cui l’erosione ha scolpito una delle sue più spettacolari opere. Le hoodoo sono le formazioni rocciose caratteristiche del Brice Park, migliaia di spirali calcaree, intervallate a mirabili castelli di pietra colorata in tonalità che dalla terracotta sfumano nel giallo e nel rosa e che mutano al variare della luce del giorno. In questo regno della pietra vivono i limber pines, conifere che riescono a rimanere attaccate anche alle più impervie pareti, per dare riparo a cervi, marmotte, linci, volpi, coyote e a una particolare specie di scoiattoli, le tamie striate. Nei cieli del Brice volano falchi, astori e sparute aquile.
La grandiosità della roccia si esalta nello Zion National Park scavato dalle acque del Virgin River. Perfetto per chi ama il trekking, lo Zion offre infatti percorsi per tutti i gusti e di qualsiasi difficoltà, che si snodano tra pareti vertiginose, altopiani, torri di roccia, piccoli laghetti e cascatelle d’acqua. Il nome, di biblica memoria (Sion), si deve alla massiccia presenza dei Mormoni che giunsero in questa zona a metà dell’Ottocento.
L’itinerario tappa per tappa
1-2 giorno
Flagstaff, nel nord dell'Arizona, è il punto di partenza e di arrivo dell'itinerario e base privilegiata, anche per la disponibilità di alloggi, per escusioni al Grand Canyon: il south Rim e il visitor center principale del Grand Canyon distano circa 80 miglia da Flagstaff, si segue la Highway 180.
Di ritorno dal Grand Canyon, lungo la Highway 89, 12 miglia a nord della città, si può visitare anche il Wupakti National Monument. Vale la pena effettuare un'escursione anche a Sedona (27 miglia a sud ovest, lungo la Highway 89A) attraversando lo spettacolare Oak Creek Canyon.
3 giorno
Da Flagsatff si prende la Statale 180 verso est, dopo circa 110 miglia si raggiunge il Petrified Forest National Park. La strada, che attraversa il parco da sud a nord, dopo circa 30 miglia sbocca sulla Highway 40. Si prende in direzione Gallup e dopo circa 23 miglia, a Chambers, si devia sulla 191, da cui, dopo 80 miglia, si raggiunge Chinle. Totale tappa circa 250 miglia.
4 giorno
Chinle è la base per escursioni al Canyon de Chelly National Monument la cui importanza per via di numerosi siti archeologici, abitazioni rupestri e rilevanza storica, necessita almeno di un giorno di permanenza.
5 giorno
Da Chinle si riprende la Highway 191 in direzione nord. Percorse circa 14 miglia si devia sulla Highway 59 che incrocia, dopo circa 57 miglia, la 160. Si tiene per Kayenta, da dove si prende la Highway 163 che porta nel cuore della Monument Valley Navajo Tribal Nation, a cavallo tra Arizona e Utah. Da non perdere la facile escursione su strada sterrata, di circa 17 miglia, che attraversa la Monument Valley e permette di ammirare da vicino i monoliti di arenaria, i “Butte”.
Percorrendola si incontrano affascinanti monoliti dai nomi fantasiosi. Nell’ordine: Sentinel Mesa, Merrik, Elephant, Camel, John Ford’s Point, i pinnacoli detti Three Sisters, i tavolati Rain God e Thunderbird e il totem Pole. Tornando verso la strada principale si incontrano poi la Spearhead Mesa e l’Artist Point. Rientrati sulla 163 si prosegue verso nord nello stato dello Utah, fino a incrociare la 191 che si segue fino a Moab. Totale tappa circa 260 miglia.
6-7 giorno
Moab è una cittadina turistica in posizione privilegata in mezzo a due tra i parchi più spettacolari dell'ovest: Arches National Park, Canyonlands e Dead Horse Point. Vale la pena dedicare a queste escursioni, ricche di punti panoramici, almeno due giorni. Nell’Arches da non perdere le sculture di pietra Balanced Rock, Delicate Arch e Landscape Arch. Tantissime le attrazioni di Canyonlands: Shaker Canyon, Upheavel Dome, The Needles, il cosiddetto Labirinto e i disegni rupestri dell’Horseshoe Canyon e della Newspaper Rock.
8 giorno
Da Moab si riprende la 191 in direzione nord per circa 30 miglia fino ad incrociare la Highway 70, che si segue per 34 miglia fino a deviare sulla 24, che attraversa il parco nazionale di Capitol Reef.
Dopo circa 93 miglia, a Torrey si incrocia la Highway 12, che si segue per 105 miglia fino al Brice Canyon. Si continua sulla 12 fino ad incrociare la 89. Dopo circa 7 miglia si arriva a Panguitch. Totale tappa: circa 283 miglia.
9 giorno
Da Panguitch si scende verso sud per circa 50 miglia sulla Highway 89, fino ad incrociare la Highway 9 per Springdale, una trentina di miglia, e l'ingresso dello Zion National Park. Si ritorna sulla 9 fino all'incrocio con la 89 per il Lake Powell. Il lago fa parte della Glen Canyon National Recreation Area. Si prosegue per la città turistica di Page. Circa 133 miglia separano Page da Flagstaff, si scende a sud lungo la Highway 89. Totale tappa circa 329 miglia.
Legenda: 1 miglio=1,6093 km
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