Algeria: il sito di Djemila
Tutti conoscono, almeno per sentito dire, l'imponenza e l'importanza degli insediamenti romani in Libia e in Tunisia. Pochi invece sanno dell'esistenza di testimonianze altrettanto rilevanti, se non addirittura maggiori, in Algeria. Eppure basterebbe risalire ai ricordi scolastici e pensare al ruolo storico svolto da personaggi come Siface, Massinissa, Giugurta o Giuba, principi di regni chiamati di volta in volta Giuba, Mauritania o Numidia all'epoca delle guerre puniche e delle guerre civili, nonché alle enormi capacità produttive di cereali, per non sorprendersi affatto nello scoprire entro i confini dell'Algeria dei resti di molteplici e ragguardevoli insediamenti romani. Quelli classificati sono oltre cinquecento, sopravvissuti alle ingiurie del tempo e degli uomini, in grado di attestare la massiccia presenza di Roma su questa sponda del Mediterraneo.
Testo e foto di Anna Maria Arnesano e Giulio Badini
Tutti conoscono, almeno per sentito dire, l'imponenza e l'importanza degli insediamenti romani in Libia e in Tunisia. Pochi invece sanno dell'esistenza di testimonianze altrettanto rilevanti, se non addirittura maggiori, in Algeria. Eppure basterebbe risalire ai ricordi scolastici e pensare al ruolo storico svolto da personaggi come Siface, Massinissa, Giugurta o Giuba, principi di regni chiamati di volta in volta Giuba, Mauritania o Numidia all'epoca delle guerre puniche e delle guerre civili, nonché alle enormi capacità produttive di cereali, per non sorprendersi affatto nello scoprire entro i confini dell'Algeria dei resti di molteplici e ragguardevoli insediamenti romani. Quelli classificati sono oltre cinquecento, sopravvissuti alle ingiurie del tempo e degli uomini, in grado di attestare la massiccia presenza di Roma su questa sponda del Mediterraneo.
Testo e foto di Anna Maria Arnesano e Giulio Badini
Tipasa, porto a 60 chilometri ad ovest di Algeri, oppure Timgad e Djemila più all'interno sugli altipiani settentrionali, sono ad esempio i nomi di città romane pressoché sconosciute al grosso pubblico, ma degne di miglior fama per le loro consistenti dimensioni, per l'ottimo stato di conservazione, per l'enorme varietà e l'insuperabile bellezza dei loro mosaici, e infine anche per il suggestivo contesto ambientale in cui si trovano.
Il sito archeologico
Djemila (“la bella” in lingua berbera), l'antica Cuicul latina, si trova a 900 metri di quota sui rilievi della Piccola Kabylia, a metà strada tra Sètif e Constantine, l'antica Cirta, capitale prima della Numidia e poi della colonia romana d'Africa, della quale restano però ben poche tracce. Fu fondata verso la fine del I° secolo dopo Cristo, sotto l'imperatore Nerva, come colonia di veterani, all'incrocio di due importanti assi stradali nord-sud e est-ovest, nell'intento di garantire stabilità alla regione con l'insediamento di un nucleo di ex legionari e la conseguente romanizzazione.
Ma l'instabilità del limes non riuscì mai a garantire una vera pax romana, nemmeno dopo la promulgazione dell'editto di Caracalla che nel 212 riconosceva la cittadinanza latina a tutti i cittadini liberi dell'impero. Faceva parte della seconda provincia pro-consolare d'Africa, la Numidia, ed era amministrata da un pro-pretore nominato direttamente dall'imperatore, che comandava anche la potente III° legione Augusta, il maggior corpo di occupazione militare in Africa, di stanza nella vicina Lambesi.
Il cristianesimo vi compare molto presto, tanto che nel 256 dispone già di un vescovo, Pudentianus, che partecipa al concilio di Cartagine. La forte presenza cristiana, di osservanza donatista, a Djemila durante il IV° secolo attesta il malessere delle popolazioni berbere locali nei confronti dei colonizzatori, che solo il teologo e vescovo algerino Sant'Agostino riuscì a far rientrare nel 412. Ma la calma fu di breve durata perché nel 439 la Numidia venne conquistata dai Vandali, arrivati dalla Spagna.
L'economia della città doveva basarsi principalmente sull'allevamento e l'agricoltura, in particolare sulla coltivazione dell'ulivo considerando l'alto numero di frantoi rinvenuti nel circondario. La scelta di uno sperone a picco su due torrenti, facilmente difendibile, e la presenza di mura fanno pensare che dovette certamente subire le incursioni da parte delle popolazioni berbere autoctone, sostanzialmente mai dome al giogo degli invasori d'oltremare. Conobbe il suo maggiore splendore sotto la dinastia dei Severi, famiglia imperiale originaria di Leptis Magna in Libia, all'inizio del III° secolo, e poi nella seconda metà del IV°, quando ospitò una consistente colonia cristiana come attestano alcune imponenti basiliche. Abitata in seguito da Vandali e Bizantini, sopravvisse in qualche modo fino al 1000-1100, quando se ne perse traccia.
Le sue rovine furono scoperte da viaggiatori europei nel Settecento. I lavori di scavo, iniziati dai Francesi nel 1909, sono ben lungi dall'essere completati: manca ad esempio quasi tutto il settore ad ovest del cardo, sede di una vasta espansione in epoca cristiana, e parecchi monumenti e ambienti aspettano ancora una facile ricostruzione. Anche così rappresenta comunque un eloquente esempio della capacità dei Romani di adattare il tradizionale schema urbanistico, impostato sul classico incrocio ortogonale di cardo e decumanus e della successiva suddivisione laterale in insulae quadrate a scacchiera, alla situazione topografica dell'ambiente locale.
La città, soprattutto quella più antica ospitata sull'estrema punta settentrionale dello sperone, si sviluppa infatti quasi tutta latitudinalmente sul lato orientale del lungo cardo in discesa, e anche il breve decumano si sviluppa solo verso est. Il contesto ambientale circostante, rimasto essenzialmente agricolo e pastorale tanto che non è raro incontrare mandrie di pecore e capre anche in mezzo alle rovine, appare estremamente suggestivo: due corsi d'acqua nei fondovalle sottostanti, campi coltivati ai lati, macchie di foresta qua e là, qualche calanco d'erosione e sullo sfondo una montagna di scisti neri, il tutto in un silenzio ovattato che invita alla riflessione e fà rimbombare i passi sull'antico selciato.
La visita inizia dal museo, piccolo e polveroso, ma adorno sulle pareti di enormi e straordinari mosaici, veri capolavori dell'arte musiva romana, i quali da soli giustificherebbero un viaggio fino a queste contrade. Nel giardino esterno si possono ammirare statue, capitelli, colonne, anfore, epigrafi, bassorilievi e pietre tombali. Si accede alla città dall'estremo sud, nel punto più alto, percorrendo in discesa il lungo cardo massimo. A destra si sviluppa il grande quartiere cristiano, in posizione panoramica, con numerose chiese ad abside, due vaste basiliche e un battistero con cupola intatta, fonte battesimale e mosaici bizantineggianti.
Sulla sinistra sorgono invece quartieri residenziali, tra cui la cosiddetta Casa di Bacco, un'elegante villa ad impianto tradizionale. A sinistra ancora, ma più in basso, si trova l'ampio complesso delle terme, realizzato nel 183 dall'imperatore Comodo, dove non poche sale conservano intatte le volte originarie. Dopo una graziosa fontana si sbuca nel monumentale Foro meridionale, detto anche piazza dei Severi, cuore ed epicentro della città, punto focale della vita di ieri e delle visite di oggi. Procedendo in senso orario da sinistra si ammirano il grande arco di trionfo, adorno di colonne e di nicchie che un tempo ospitavano statue, innalzato nel 216 in onore dell'imperatore Caracalla, figlio di Settimio Severo, e pressoché intatto, che nel 1839 il duca d'Orleans voleva trasportare a Parigi, con alle spalle il mercato delle stoffe e le latrine.
Oltre le mura della città vecchia, ingentilite da un porticato con statue, e la porta di Cirta, ecco lo spettacolare Tempio costruito nel 229 dall'imperatore Settimio Severo, dedicato a Marte patrono della città, fiancheggiato da due file di 14 colonne corinzie alte 10 metri e con altre 6 davanti al pronao, a cui si accede attraverso due gradinate, e tuttora in buono stato. A fianco sorgeva la basilica giudiziaria. Una breve strada che parte dalla porta di Cirta conduce al Teatro, capace di 2.500 posti, mirabilmente impiantato su un'insenatura naturale del rilievo; con la sua scena ancora quasi intatta costituisce un manufatto di grande suggestione, anche per lo splendido panorama bucolico sui monti circostanti.
Proseguendo dalla piazza dei Severi lungo il cardo porticato si incontrano a sinistra i resti di una basilica cristiana, mentre a destra quelli della ricca villa di Castorius e, più oltre, il tempio di Venere Genitrix, a sei colonne corinzie, uno dei pochissimi in Africa dedicati a questa divinità. Superata l'antica porta sud, all'incrocio con il decumano si entra nel nucleo della città più vecchia, raccolta attorno al grande foro (44x48 metri) affiancato da una basilica civica, dalla Curia e dal mercato porticato di Cosinius, assai ben conservato, dove sono ancora riconoscibili diciotto botteghe disposte sui quattro lati e con al centro una fontana poligonale coperta da una cupola; curiosa la presenza di alcuni banchi di vendita e di un ponderarium, una tavola di misura con varie capacità.
All'estremo limite nord il Campidoglio, le terme e la cosiddetta Casa d'Europa, un edificio privato a pianta greco-romana. La città disponeva ovviamente anche di un bordello: per localizzarlo basta individuare sul portale d'ingresso un simbolo scolpito che non lascia dubbi sulla destinazione dell'edificio. Poche altre città come Djemila sono in grado di offrire una così perfetta visione d'insieme su un agglomerato urbano romano, in un contesto naturale altamente suggestivo rimasto totalmente integro. Non a caso dal 1982 è stata inserita dall'UNESCO nella lista del Patrimonio dell'Umanità. Anche lo scrittore algerino Albert Camus, premio Nobel per la letteratura nel 1957, ne rimase affascinato e le dedicò uno scritto, "Il vento di Djemila", 1937.
Djemila (“la bella” in lingua berbera), l'antica Cuicul latina, si trova a 900 metri di quota sui rilievi della Piccola Kabylia, a metà strada tra Sètif e Constantine, l'antica Cirta, capitale prima della Numidia e poi della colonia romana d'Africa, della quale restano però ben poche tracce. Fu fondata verso la fine del I° secolo dopo Cristo, sotto l'imperatore Nerva, come colonia di veterani, all'incrocio di due importanti assi stradali nord-sud e est-ovest, nell'intento di garantire stabilità alla regione con l'insediamento di un nucleo di ex legionari e la conseguente romanizzazione.
Ma l'instabilità del limes non riuscì mai a garantire una vera pax romana, nemmeno dopo la promulgazione dell'editto di Caracalla che nel 212 riconosceva la cittadinanza latina a tutti i cittadini liberi dell'impero. Faceva parte della seconda provincia pro-consolare d'Africa, la Numidia, ed era amministrata da un pro-pretore nominato direttamente dall'imperatore, che comandava anche la potente III° legione Augusta, il maggior corpo di occupazione militare in Africa, di stanza nella vicina Lambesi.
Il cristianesimo vi compare molto presto, tanto che nel 256 dispone già di un vescovo, Pudentianus, che partecipa al concilio di Cartagine. La forte presenza cristiana, di osservanza donatista, a Djemila durante il IV° secolo attesta il malessere delle popolazioni berbere locali nei confronti dei colonizzatori, che solo il teologo e vescovo algerino Sant'Agostino riuscì a far rientrare nel 412. Ma la calma fu di breve durata perché nel 439 la Numidia venne conquistata dai Vandali, arrivati dalla Spagna.
L'economia della città doveva basarsi principalmente sull'allevamento e l'agricoltura, in particolare sulla coltivazione dell'ulivo considerando l'alto numero di frantoi rinvenuti nel circondario. La scelta di uno sperone a picco su due torrenti, facilmente difendibile, e la presenza di mura fanno pensare che dovette certamente subire le incursioni da parte delle popolazioni berbere autoctone, sostanzialmente mai dome al giogo degli invasori d'oltremare. Conobbe il suo maggiore splendore sotto la dinastia dei Severi, famiglia imperiale originaria di Leptis Magna in Libia, all'inizio del III° secolo, e poi nella seconda metà del IV°, quando ospitò una consistente colonia cristiana come attestano alcune imponenti basiliche. Abitata in seguito da Vandali e Bizantini, sopravvisse in qualche modo fino al 1000-1100, quando se ne perse traccia.
Le sue rovine furono scoperte da viaggiatori europei nel Settecento. I lavori di scavo, iniziati dai Francesi nel 1909, sono ben lungi dall'essere completati: manca ad esempio quasi tutto il settore ad ovest del cardo, sede di una vasta espansione in epoca cristiana, e parecchi monumenti e ambienti aspettano ancora una facile ricostruzione. Anche così rappresenta comunque un eloquente esempio della capacità dei Romani di adattare il tradizionale schema urbanistico, impostato sul classico incrocio ortogonale di cardo e decumanus e della successiva suddivisione laterale in insulae quadrate a scacchiera, alla situazione topografica dell'ambiente locale.
La città, soprattutto quella più antica ospitata sull'estrema punta settentrionale dello sperone, si sviluppa infatti quasi tutta latitudinalmente sul lato orientale del lungo cardo in discesa, e anche il breve decumano si sviluppa solo verso est. Il contesto ambientale circostante, rimasto essenzialmente agricolo e pastorale tanto che non è raro incontrare mandrie di pecore e capre anche in mezzo alle rovine, appare estremamente suggestivo: due corsi d'acqua nei fondovalle sottostanti, campi coltivati ai lati, macchie di foresta qua e là, qualche calanco d'erosione e sullo sfondo una montagna di scisti neri, il tutto in un silenzio ovattato che invita alla riflessione e fà rimbombare i passi sull'antico selciato.
La visita inizia dal museo, piccolo e polveroso, ma adorno sulle pareti di enormi e straordinari mosaici, veri capolavori dell'arte musiva romana, i quali da soli giustificherebbero un viaggio fino a queste contrade. Nel giardino esterno si possono ammirare statue, capitelli, colonne, anfore, epigrafi, bassorilievi e pietre tombali. Si accede alla città dall'estremo sud, nel punto più alto, percorrendo in discesa il lungo cardo massimo. A destra si sviluppa il grande quartiere cristiano, in posizione panoramica, con numerose chiese ad abside, due vaste basiliche e un battistero con cupola intatta, fonte battesimale e mosaici bizantineggianti.
Sulla sinistra sorgono invece quartieri residenziali, tra cui la cosiddetta Casa di Bacco, un'elegante villa ad impianto tradizionale. A sinistra ancora, ma più in basso, si trova l'ampio complesso delle terme, realizzato nel 183 dall'imperatore Comodo, dove non poche sale conservano intatte le volte originarie. Dopo una graziosa fontana si sbuca nel monumentale Foro meridionale, detto anche piazza dei Severi, cuore ed epicentro della città, punto focale della vita di ieri e delle visite di oggi. Procedendo in senso orario da sinistra si ammirano il grande arco di trionfo, adorno di colonne e di nicchie che un tempo ospitavano statue, innalzato nel 216 in onore dell'imperatore Caracalla, figlio di Settimio Severo, e pressoché intatto, che nel 1839 il duca d'Orleans voleva trasportare a Parigi, con alle spalle il mercato delle stoffe e le latrine.
Oltre le mura della città vecchia, ingentilite da un porticato con statue, e la porta di Cirta, ecco lo spettacolare Tempio costruito nel 229 dall'imperatore Settimio Severo, dedicato a Marte patrono della città, fiancheggiato da due file di 14 colonne corinzie alte 10 metri e con altre 6 davanti al pronao, a cui si accede attraverso due gradinate, e tuttora in buono stato. A fianco sorgeva la basilica giudiziaria. Una breve strada che parte dalla porta di Cirta conduce al Teatro, capace di 2.500 posti, mirabilmente impiantato su un'insenatura naturale del rilievo; con la sua scena ancora quasi intatta costituisce un manufatto di grande suggestione, anche per lo splendido panorama bucolico sui monti circostanti.
Proseguendo dalla piazza dei Severi lungo il cardo porticato si incontrano a sinistra i resti di una basilica cristiana, mentre a destra quelli della ricca villa di Castorius e, più oltre, il tempio di Venere Genitrix, a sei colonne corinzie, uno dei pochissimi in Africa dedicati a questa divinità. Superata l'antica porta sud, all'incrocio con il decumano si entra nel nucleo della città più vecchia, raccolta attorno al grande foro (44x48 metri) affiancato da una basilica civica, dalla Curia e dal mercato porticato di Cosinius, assai ben conservato, dove sono ancora riconoscibili diciotto botteghe disposte sui quattro lati e con al centro una fontana poligonale coperta da una cupola; curiosa la presenza di alcuni banchi di vendita e di un ponderarium, una tavola di misura con varie capacità.
All'estremo limite nord il Campidoglio, le terme e la cosiddetta Casa d'Europa, un edificio privato a pianta greco-romana. La città disponeva ovviamente anche di un bordello: per localizzarlo basta individuare sul portale d'ingresso un simbolo scolpito che non lascia dubbi sulla destinazione dell'edificio. Poche altre città come Djemila sono in grado di offrire una così perfetta visione d'insieme su un agglomerato urbano romano, in un contesto naturale altamente suggestivo rimasto totalmente integro. Non a caso dal 1982 è stata inserita dall'UNESCO nella lista del Patrimonio dell'Umanità. Anche lo scrittore algerino Albert Camus, premio Nobel per la letteratura nel 1957, ne rimase affascinato e le dedicò uno scritto, "Il vento di Djemila", 1937.
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