Irlanda: l'isola di smeraldo
La voce rauca di Andrew Strong intona "Mustang Sally". Ho ancora nelle orecchie la colonna sonora di "The Committments", il fortunato film di Alan Parker che racconta le sorti di un gruppo di ragazzi di Dublino innamorati della soul music, mentre ordino la prima Guinness, il mio primo giorno d'Irlanda. Mi chiedo se mai troveremo sulla nostra strada le tracce di quegli accordi, di quelle canzoni.
Testo e foto di Angelo Fanzini
Il nostro viaggio parte da Dublino e seguendo in senso orario le coste dell'isola verde ci riporta al termine del tour ancora nella capitale. La prima tappa è Wexford sulla costa del sud est irlandese. Sono i colori a colpirci fin da subito, l'uso di rosso, verde, blu, giallo per decorare stupendamente le vetrine dei negozi e le case dall'intonaco bianco. Seguiamo la costa sud con alcune puntate sulle "Coast road" per scoprire gli angoli più particolari come Hook Head e Ardmore. Attraversiamo la contea di Wexford e Waterford per giungere a Cork, il più importante centro della regione. La città è interessante, costruita sui canali e cresciuta attorno al porto che nel XIX secolo vide milioni di Irlandesi partire a cercare fortuna al di là dell'Atlantico, dopo la grande carestia di patate.
Da Cork puntiamo su Bantry, gentile località di villeggiatura. Da qui seguiamo i percorsi panoramici che ci portano nelle penisole di Beara e di Iveragh. Dalla contea di Cork passiamo nel Kerry. Entrambi i percorsi "Ring of Beara e Ring of Kerry" sono da seguire per intero con la necessaria calma. In Irlanda scordatevi la fretta e la velocità, il ritmo rallenta automat icamente se seguite il tempo di ciò che vi circonda. Riempitevi gli occhi di verde e di azzurro, toccate l'erba umida e poi respirate profondamente. Dove state andando? Non importa saperlo se la sera vi ritroverete in un pub, magari nel grazioso centro di Killarney, a seguire il ritmo del Bodhran e delle Uillean Pipes di qualche musicista discendente degli antichi bardi.
Ci dirigiamo verso la costa ovest, il far west irlandese. Pochi chilometri prima di Limerick ci fermiamo ad Adare ad ammirare lo stupendo Manor e i caratteristici cottages dai tetti di paglia intrecciata. Entriamo nella contea di Clare costeggiando il corso dello Shannon, il più importante fiume dell'isola. D'obbligo una sosta al Bunratty Castle ed al Folk Park annesso. Ormai ci troviamo nei pressi della costa, seguiamo le indicazioni per i Cliffs of Moher, impressionanti scogliere sull'Atlantico. Una sosta al visitor center ed alla O' Brien Tower è d'obbligo ma quello che più ci piace scoprire è il piccolo villaggio di Doolin poco più a nord, dove rintracciamo l'O' Connor's pub.
Un pub anonimo all'esterno ma che nasconde una storia musicale incredibile. Qui, in questo angolo sperduto sulle scogliere del Clare, si ritrovano tutti gli anni i musicisti celti. L'interno è tappezzato delle foto degli artisti che si sono esibiti. Non esiste palco, né sala concerti, una scritta discreta avvisa i clienti che un tavolo è riservato a chi suona. Quanto di più minimale, informale si possa credere. La musica e il ballo ritornano dove sono nati. Tornano ad essere festa della comunità, svago serale o dei giorni di festa a incorniciare una giornata di lavoro o a chiudere una settimana di fatiche. La musica torna ad essere liberatoria, riparatrice, popolare.
Proseguiamo per Cape Head, un promontorio caratterizzato da spettacolari formazioni calcaree. E' solo il prologo alla regione del Burren, una suggestiva area carsica, aspra, costantemente battuta dal vento. Galway, capitale della cultura gaelica e della sua lingua arcana e misteriosa, è la meta della giornata. La città è l'ideale base per le escursioni sulle isole Aran e nella regione del Connemara. In questa area potrete trovare i più classici paesaggi dell'iconografia irlandese: campi verdissimi, digradanti senza soluzione di continuità fino al mare, racchiusi in muretti di sasso che li scolpiscono in forme regolari, cavalli che corrono liberi e greggi di pecore intente a guardare pigramente quello che succede intorno a loro.
Complice in tutto questo, il cielo d'Irlanda, con le sue infinite possibilità armoniche, corre e sovrappone i cambiamenti di tempo e di umore. Pensieri azzurri, tersi o pesanti di pioggia, oscuri, notturni e poi ancora solari, puliti, freschi. Odori di fieno o acri di torba, suoni di saghe e di miti popolari, si uniscono ai colori intensi e ai gusti che partono dal mare per essere lavati dalla Guinness più scura. Le anime in pena, i ricercatori della mente e del cuore, dell'arte e della vita hanno trovato rifugio a Roundstone, piccolo villaggio del Connemara, una regione ricca di una sacralità umana e sincera. Nulla di falsamente ascetico, nessuna rinuncia a ciò che è vitale e terreno. Sacro e profano convivono e si esaltano perché così è nella natura delle cose. Sesso e amore, musica e silenzio, oggetto e soggetto, reale e ideale. Solo nella casa di un irlandese possono trovare spazio sulla stessa parete l'immagine profana di Elvis "the Pelvis" Presley e l'effigie sacra di Papa Giovanni XXIII. Solo chi ha il coraggio di spogliarsi delle sovrastrutture scopre che tutto inizia e torna dove c'è vita ed emozione.
Attraversiamo il Connemara National Park e dopo una sosta all'Abbazia di Kylemore entriamo nella contea di Mayo e di Sligo, ma è il Donegal, l'estremo nord dell'Irlanda la nostra meta. E' la terra del tweed e del silenzio, la terra del grande poeta Yeats. Raggiungiamo la punta di Fanad Head con il suo caratteristico faro e le spiagge tagliate dal vento. Entriamo nell'Ulster diretti a Derry. Seguendo le indicazioni per la Coast Road arriviamo sul mare. La costa alterna spiagge e scogliere ricoperte di prati verdissimi. Una sosta alle rovine del castello di Dunluce in splendida posizione sulle scogliere della costa di Antrim. Di fronte un eccentrico artista innamorato della musica rock espone stampe a soggetto musicale nella sua improbabile galleria "A Saucerful of secrets". Arriviamo al "Giant's Causeway", il sentiero dei giganti. Una scogliera formata da migliaia di rocce basaltiche a forma esagonale, talmente regolari da non credersi opera della natura. Il luogo ha toccato talmente la fantasia popolare da richiamare antichi miti e leggende di giganti innamorati.
Una lunga corsa sulla stupenda costa di Antrim ci porta fino a Belfast per poi proseguire fino a Dublino. La capitale, più che per le interessanti memorie storiche come la cattedrale di S. Patrizio e il Trinity College, è stupenda per i suoi abitanti. E' soprattutto in Grafton Street, in Nassau Street, nella zona di Temple Bar con i suoi innumerevoli locali e pub, nelle strade periferiche, nei quartieri popolari che si scopre il vero volto dei Dubliners. In una laterale di Grafton Street entro in un pub e sopra il banco vedo il disco d'oro di "The Commitments". Il cerchio si chiude, ora ne sono convinto. Lo spirito d'Irlanda è soul, anima, cuore, volontà, passione, cantata ad ogni angolo di vita, urlata con gioia vera e sicura. Irlanda magica, senza compromessi. Non più Europa e già America.
Van Morrison, uno dei grandi figli d'Irlanda, provocatoriamente diceva che la musica soul era nata a Dublino. Se ciò non è vero storicamente lo è idealmente e gli irlandesi a buon diritto possono definirsi i neri d'Europa e i Dubliners i neri d'Irlanda. A Dublino come a Memphis Tennessee, in un miracoloso miscuglio di ritmo e melodia esplode il soul. Musica di gente povera, urbanizzata, che dal vigore religioso mutua una fantastica carica emotiva, sensuale, terrena. E' la vittoria del ballo e del corpo.
La sera ci tuffiamo in Temple Bar, la coloratissima area piena di locali e di giovani nottambuli. Entriamo e usciamo da un pub all'altro seguendo un'inconsapevole corrente. In un angolo ragazzi sconosciuti suonano classici del rock senza che nessuno svilisca la loro voglia di far musica. Esci da una porta di servizio e ti ritrovi in uno scantinato trasformato in birreria. Usciamo all'aria aperta e ci troviamo di fronte un locale dove la gente balla sui tavoli mentre il DJ mixa a dovere classici del Rock & Roll e del Rhytm & Blues. E' fantastico vedere centinaia di persone cantare i pezzi di Chuck Berry, di Otis Redding, di Wilson Pickett, di Ray Charles. Tutto è autentico e spontaneo, niente falsi gruppi di animazione, pierre o forzature riminesi. Gli irlandesi si sanno divertire con la vitalità che possiedono, tutto il resto non conta nulla.
Che strano viaggio, mi sembra di avere assistito ad un grande concerto. Più che i luoghi, i paesaggi mi ricordo i particolari: il colore della porta di una casa, un'insegna, lo sguardo di un vecchio incontrato sulla strada per Galway. Mi ricordo che la mia infantile richiesta di una foto lo divertiva, aveva una voce sottile, remissiva. Un piccolo uomo d'Irlanda col suo carretto di cosa ha bisogno? Quali rituali circondano il suo tempo, quali sogni o paure? Si mette in posa, scatto la foto, lo ringrazio e lui mi saluta togliendosi il berretto in segno di saluto. Mio nonno, piccolo contadino emiliano, si toglieva il cappello solo in chiesa, all'osteria e la sera quando rientrava in casa. I contadini sono uguali in tutto il mondo, gli stessi tempi lenti che scandiscono la vita e gli spazi circoscritti dai limiti dei campi.
Possono stare gli anni di un vecchio irlandese in una foto o tutto quello che sta dietro o davanti l'obiettivo si specchia in quell'istante condividendo qualcosa che non riesco a definire ma che tanto mi sembra avere a che fare con l'anima? Quasi va sussurrata per essere colta. Con il tocco leggero di una chitarra o con il filo di gas di un motociclista. Piega senza sforzo nell'impostare la curva per ripiegare dall'altra parte. E' il ritmo del corpo e del pensiero, testa e cuore, razionale ed emotivo, esteriore ed interiore, maschile e femminile. Non importa quale sia la tua tecnica, il tuo modo per entrare in sintonia, l'importante è sentire il "Soul". Se non sai come fare gli Irlandesi te lo mostreranno.
Approfondimento: le contee di Kerry e Cork
La terra verde d'Irlanda è una meta per chi cerca una vacanza in tutto relax, con il gusto scuro e tostato di una buona Guinness. Le suggestioni dei prati, delle colline scure di torba e delle scogliere si uniscono al respiro della storia. Qui è ancora parlata la lingua dei Celti: il Gaelico. L'Isola di smeraldo è un regno incantato fatto di leggende dove fate e folletti ancora vivono nei boschi tra i cespugli di biancospino, pronti a comparire sotto l'arco del cielo dopo una giornata di pioggia con il loro pentolone colmo di monete d'oro. Popolo di musicisti e bevitori, gli irlandesi si ispirano agli incredibili paesaggi della loro terra per farci credere ancora nelle favole e, chiunque passi da qui anche solo una volta, scoprirà che ci riescono benissimo.
Una delle regioni più spettacolari dal punto di vista paesaggistico è quella sud-occidentale, altrimenti detta la “mano sull'Atlantico”. Le cinque lingue di terra con cui le contee di Kerry e Cork si sporgono sull'Atlantico, infatti, assumono le sembianze delle dita di una mano protesa nelle profondità oceaniche. Regina di questo lembo selvaggio di Irlanda è la Dingle Peninsula, la più settentrionale, scenario del film “La figlia di Ryan”, come ricorda lo Ryan's Daughter Commemorative Stone eretto sull'erba davanti a uno scorcio di oceano tra i più belli della costa. Rispetto alle più popolari Killarney e al panoramico Ring of Kerry della Iveragh Peninsula, uno degli anelli luminosi della “mano sull'Atlantico”, quest'area sopravvive ancora al di fuori del turismo di massa.
Ideale da percorrere in moto e auto, la penisola offre la più “alta” montagna d'Irlanda dopo il MacGillycuddy's Reeks (il Monte Brandon con i suoi 952 metri), alcuni dei paesaggi costieri più selvaggi dell'isola, tra masse granitiche e spiagge da Caribe come quelle di Inch Strand e Castlegregory. Una delle due strade dirette al porto di Dingle da Tralee, capoluogo del Kerry, conduce allo spettacolare Connor Pass, mentre una tappa quasi obbligata del ring of Dingle Peninsula è quella al Gallarus Oratory.
Si tratta di una delle più importanti testimonianze dell'architettura cristiana in Irlanda, un piccolo oratorio in pietra a forma di nave rovesciata, sopravvissuto anche alle invasioni vichinghe e normanne. Ad accogliere il visitatore lungo la costa della penisola sono antichi villaggi di pescatori, cittadine tinte di colori pastello, piccole realtà dove ancora sopravvive il gaelico, la lingua tradizionale, che si legge nelle insegne dei negozi e nelle indicazioni stradali. Il tratto comune di queste città in miniatura è quello di sembrare abitate davvero da streghe e sirene, composte da un mosaico di volti e colori che lasciano molto spazio all'immaginazione.
Il capoluogo del Kerry, Tralee è il punto di transito per la penisola di Dingle. Il piccolo villaggio si è solo recentemente adeguato al flusso di visitatori dotandosi di attrezzature turistiche e arricchendosi con manifestazioni culturali come la simpatica elezione della reginetta “Rose” durante i giorni estivi del "Rose of Tralee Festival". Centro vitale della baia di Dingle è l'omonima cittadina, un concentrato di pub e casette dove i colori non sono mai troppi e dove l'aria che si respira è decisamente marinara.
Per le stradine di Dingle si susseguono i caratteristici pub irlandesi, alcuni più turistici per la verità, proprio come certi negozi invasi di souvenir celtici ad uso e consumo dei turisti di passaggio. Oltre ad elfi, fate e sirene, infatti, anche i Celti sono onnipresenti nei racconti un po' storici un po' fantastici degli irlandesi. Nella zona prospiciente il mare, si affollano invece i ristorantini che servono le specialità di pesce accompagnate, neanche a dirlo, da birra. I negozi chiudono più tardi del solito (alle 22.00 invece che alle 18.00) il che la dice lunga sulla conversione turistica del luogo, ideale punto di partenza per la circumnavigazione della penisola.
Lasciando il Kerry alla volta della contea di Cork, la più meridionale dell'isola, si incontrano altre piacevoli cittadine che sono riuscite a legare la loro fama ciascuna a qualcosa di particolare. Blarney, per esempio, è la città della pietra dell'eloquenza che, come la leggenda vuole, il visitatore deve baciare. Il mito della Blarney Stone è legato al nome di Cormac McCarthy, Lord di Byron nel 1314 a.C., il quale avrebbe ricevuto in dono questa pietra da Robert the Bruce in segno di riconoscenza. Il segreto nascosto dal pezzo di roccia (quello di donare l'eloquenza a chi ne fosse venuto in contatto), venne scoperto solo in seguito, quando McCarthy salvò un'anziana donna dall'annegamento in un fiume e questa gli svelò la profezia.
Fu la Regina Elisabetta I, tuttavia, ad introdurre il termine “blarney” nel linguaggio comune ad indicare una sorta di dialettica cerimoniosa ed insistente, quale probabilmente doveva essere quella utilizzata da Lord McCarthy per non pagare le tasse alla Regina. Finzione o realtà, leggenda o storia, al bacio della pietra non ci si può sottrarre e il rito dei turisti comincia con la fila per accedere alla parte alta dell'omonimo Castello dove si trova la Blarney Stone, con un piccolo particolare: per sfiorare con le labbra l'ormai consunto pezzo di pietra bisogna adagiarsi a testa in giù dondolando nel vuoto! Il Castello di Blarney, costruito nel 1446, ha tra l'altro la nomea di essere uno dei più antichi di tutta l'Irlanda e al suo interno custodisce i “Gioielli della Corona”.
Da Blarney a Youghal l'atmosfera muta rapidamente e il verde con tutte le sue tonalità lascia spazio al blu del mare e ad alcune delle più belle vedute sulle spiagge dell'East Cork. Rinomata cittadina portuale dalla lunga e affascinante storia, Youghal ha con l'acqua un rapporto privilegiato: situata alla foce del fiume Blackwater e con il mare a portata di mano, è la porta d'accesso all'omonima vallata (Blackwater) e alla favola di Moby Dick. Sì perché fu proprio il mare di Youghal ad ospitare la troupe cinematografica di “Moby Dick”, il bel film del 1956 tratto dall'omonimo romanzo di Herman Melville e interpretato, tra gli altri, da Gregory Peck. Chi non ne fosse stato a conoscenza sino ad ora, non ne rimarrebbe all'oscuro una volta approdato a Youghal dove il pub ristorante che dà il benvenuto ai turisti proprio all'ingresso della cittadina sbandiera a caratteri cubitali il nome di Moby Dick.
Continuando nell'interno la celebrazione dell'importante avvenimento: alle pareti, quadri, foto del set e cimeli di ogni tipo raccontano l'avventura cinematografica di Youghal in una sorta di reportage in bianco e nero. Ma prima di accomodarsi ai tavoli del rustico e accogliente pub, bisogna fare due passi nella cittadina per rendersi conto di quanto un piccolo angolo, per certi versi anche sperduto, di questa Irlanda selvaggia del sud ovest, possa essere accogliente e vivace. C'è tutto, i negozi per lo shopping e la carrellata di pub tradizionali a cui nessun turista anche solo di passaggio nella terra verde vorrebbe rinunciare.
C'è la cultura e anche l'arte, come la Chiesa Collegiata di St. Mary in pieno centro ci ricorda, essendo una delle più antiche dell'Irlanda. Fondata da San Declan intorno al 450 d.C., è stata ricostruita in stile romanico irlandese 300 anni dopo, mentre è del 1220 circa la grande navata centrale normanna. Per una passeggiata nel verde tra le croci celtiche, è possibile addentrarsi nell'ampio cimitero circondato interamente dalle mura cittadine, percorrendo la “Passeggiata degli Arcieri” tra tombe antichissime, alcune semisepolte.
A questo punto, non resta che proseguire la favola irlandese davanti a un bel boccale di birra, ricordandosi che la magica bruna (la stout scura e schiumosa dal gusto amarognolo dell'orzo tostato, inventata dal mastro birraio irlandese Arthur Guinness nel 1759) è in buona compagnia delle cugine bionde e rosse. Tra queste, la red ale Kilkenny, una rossa di stile inglese dal gusto di malto lievemente fruttato, la Murphy's in duplice versione (ale dorata e rossa) e la Beamish di Cork, un'altra scura e schiumosa con sentori di cioccolato.