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Mongolia: alla ricerca dei dinosauri


​Può sembrare curioso e paradossale il fatto che gli animali che maggiormente ci affascinano, in realtà non esistono. O meglio, non esistono più sulla faccia della terra da lunga data, ma quando ci sono stati l’hanno dominata in lungo e in largo per un lunghissimo lasso di tempo. Parliamo dei dinosauri, i quali dai musei dove dovrebbero essere confinati sono usciti attraverso libri, film e gadget per entrare nel nostro immaginario collettivo, forti del fatto che, avendo noi ben pochi modelli di riferimento oggettivo, ognuno può immaginarseli come meglio crede.

Testo e foto di Anna Maria Arnesano e Giulio Badini
Infatti, pronunciando questo nome, siamo subito portati a pensare a feroci mostri giganteschi – diversi da tutti gli altri animali noti – che si aggiravano urlanti tra foreste primordiali, facendo tremare il suolo ad ogni passo, alla ricerca continua di prede con cui domare i loro insaziabili appetiti. In realtà, accanto ad esemplari dalle dimensioni davvero mastodontiche (sono stati gli esseri di gran lunga più grandi a solcare la terra) come il Branchiosauro, lungo 23 metri alto 12 e del peso di 77 tonnellate, ce n’erano tanti altri assai più piccoli, fino a quelli grandi come un pollo oppure un cane, e assieme ai feroci carnivori pascolava anche una pletora di pacifici erbivori.

Più che da suggestioni di fantasia, questi rettili preistorici a sangue freddo dovrebbero attirare la nostra meraviglia anche soltanto per la semplice ragione che dominarono incontrastati il pianeta per ben 170 milioni di anni, quando l’ominide più antico non arriva a 4 milioni, l’Homo erectus si ferma ad un milione e il Sapiens sapiens, cioè noi, c’è da appena 30 mila anni. Davvero un’inezia in proporzione, che non giustifica alcun tipo di presunzione. L’altro motivo di curiosità dovrebbe essere costituito dalla loro estinzione, avvenuta abbastanza all’improvviso 65 milioni di anni fa per ragioni che non ci sono ancora chiare (nessuna delle molteplici teorie finora formulate dagli studiosi risulta infatti convincente), e la cui soluzione dovrebbe appassionarci ben più della ricerca del Santo Graal.

La storia della paleontologia è piuttosto recente e inizia nel 1822 con la scoperta nelle arenarie del Sussex in Inghilterra di un dente di Iguanodonte, un lucertolone lungo 9 metri vecchio di 100 milioni di anni. Da allora le scoperte si sono succedute in ogni continente e nel 1841 venne coniato il termine dinosauro, dalle parole greche deinos e sauros, terribile rettile. Oggi sappiamo che a questa parola generica fanno capo un gran numero di specie, bipedi e quadrupedi, enormemente diverse le une dalle altre per fisiologia, taglia e habitat ecologico, appartenenti a due gruppi distinti, con un cervello minuscolo rispetto alla propria mole, viventi per terra e in acqua, che i loro parenti più prossimi attuali sono i coccodrilli, e ogni nuova scoperta aggiorna ed amplia le nostre conoscenze. Ciò che noi troviamo sono le orme impresse su paleosuoli delle loro zampe (negli Usa ci sono impronte di Tirannosauri lunghe 76 centimetri e larghe 79, con distanza tra zampe anteriori e posteriori di 3,75 metri), oppure gli scheletri fossilizzati nella roccia, ma le probabilità di scoprire i resti di un animale risalenti così lontano nel tempo sono estremamente basse.

Per far sì che un corpo si fossilizzi, premessa indispensabile perché possa arrivare fino ai nostri giorni, occorrono infatti una serie di condizioni ambientali piuttosto rare da realizzarsi in pratica. E quand’anche ciò avvenga, occorre pure che il fossile, sepolto in profondità, affiori in qualche modo in superficie (erosione, cave, miniere, ecc.), poiché risulta impensabile scavare ovunque confidando ragionevolmente di essere premiati. Chissà quanti fossili affiorati sono andati distrutti e dispersi nel tempo. Con simili premesse si capisce bene come la caccia ai dinosauri rappresenti una delle attività più entusiasmanti in assoluto, uno sport incruento che non produce alcuna vittima, anzi le resuscita.

Una delle località che si è rivelata essere tra le più ricche di dinosauri al mondo è la Mongolia, nazione dell’Asia centrale grande cinque volte l’Italia incuneata tra Russia e Cina, aperta solo di recente al turismo, e per l’esattezza la regione di sud-ovest occupata dal Gobi. Tutto cominciò nel 1921, quando il Museo di Storia Naturale di New York vi organizzò una spedizione diretta da Roy Chapman Andrews, curiosa figura a metà strada tra lo scienziato folle e Indiana Jones degna di un romanzo d’avventura, convinto di trovare in Mongolia le più antiche testimonianze dell’uomo. Non trovò nessun ominide, solo una popolazione tardo paleolitica risalente a 20 mila anni, ma in compenso scoprì i dinosauri.

In alcuni anni di attività mise assieme i resti di un centinaio di animali: tra questi il Protoceratops, un erbivoro quadrupede lungo meno di 2 metri con un becco da pappagallo vecchio di 100 milioni di anni, numerosi Velociraptor, il rapace veloce reso famoso dal film Jurassic Park, un Oviraptor, depredatore di uova, e i resti dei più antichi mammiferi. Ma la notizia che fece davvero il giro del mondo, colpendo sensibilmente la fantasia dei lettori, fu la scoperta di diverse uova di dinosauro, in qualche caso raggruppate in nidi, due delle quali contenevano ancora ben visibile l’embrione. Scoperta suggestiva ma tutto sommato scontata, considerando che i rettili sono nella maggior parte dei casi ovipari. Le ricerche furono intensificate soprattutto dopo la seconda guerra mondiale da parte di ricercatori russi e polacchi, ma anche di altre nazionalità (nel 1991 si ebbe anche una spedizione italo-francese), e continuano tuttora, fornendo sempre nuove scoperte.

Il deserto del Gobi
Strano deserto il Gobi. Esteso per un terzo della Mongolia, in realtà è un’enorme steppa arida con montagne, fiumi e laghi, dove le dune occupano appena il 3 per cento; l’aspetto più singolare è dato dalla fortissima escursione termica stagionale, compresa tra i 40°C in estate e i – 40 in inverno. A causa del clima gli abitanti nomadi sono davvero rari; in compenso vi alberga una fauna decisamente interessante, come gazzelle, asino selvatico, cammello della Bactriana (quello a due gobbe), il cavallo di Przewalski (l’antenato di tutti i cavalli), aquile, stambecchi, il leopardo delle nevi, il topo saltatore e l’unico orso al mondo vivente nel deserto.

Durante il periodo cretacico il paesaggio era decisamente diverso da quello attuale, splendido e primordiale ma desertico: predominavano foreste e pascoli punteggiati da fiumi, laghi, paludi e acquitrini, ma anche distese di sabbia disseminate di oasi, un ambiente ideale insomma per la sopravvivenza dei dinosauri erbivori e, di conseguenza, anche dei loro predatori carnivori. Altra caratteristica positiva del Gobi consiste in una intensa e prolungata erosione superficiale naturale, capace di far affiorare gli antichi livelli della seconda metà del Cretaceo (100-65 milioni di anni fa), quando i dinosauri raggiunsero il loro picco evolutivo e di densità. Gli unici a rimanere indifferenti ad ogni scoperta dei paleontologi sono stati proprio i nomadi locali: loro, come anche i cinesi e un po’ tutti i centro-asiatici, quei denti e quelle ossa di draghi vissuti in epoche passate li usano da sempre triturati per guarire mille malanni.

Nel Gobi sono state rinvenute parecchie specie di dinosauri nuovi per la scienza, portando nuova luce sulla storia dei rettili e dei mammiferi durante il Mesozoico. Vanno ricordati in particolare il Protoceratops, dinosauro cornuto primitivo, il Syrmosaurus, dinosauro corazzato, scheletri completi di Tarbosaurus, enorme carnivoro terapode a tre dita con denti affilatissimi lunghi 15 centimetri simile al Tirannosauro americano (il maggior dinosauro carnivoro, con denti simili a coltelli), l’Hadrosaurus dal becco d’anatra, l’Anklisaurus, un mostro corazzato alto 7 metri con un’armatura e la coda a forma di mazza usata come randello, il Therizinosaurus, un predatore con arti anteriori giganteschi e artigli lunghi 60 centimetri in grado di vincere anche erbivori pesanti decine di tonnellate, dinosauri struzzi, Ornitomimidi, Iguanodonti e nella località di Bogiin Tsav un vero cimitero di dinosauri carnivori.

E poi ancora il Nemegtosauro, enorme sauropode dal collo lungo, pesante fino a 90 tonnellate, cacciato dai Tarbosauri, il Pachycephalosauro dal capo duro e rinforzato usato come ariete, l’Ebolotherium con il naso a forma di periscopio che gli permetteva di respirare anche mentre aveva il corpo sott’acqua, il Mononykus, un uccello incapace di volare con artigli al posto delle ali, il Mamenchisaurus, il dinosauro dal collo più lungo e un corpo di 22 metri, enormi rinoceronti grandi quattro volte un elefante, ritenuti i maggiori mammiferi terrestri mai esistiti, che convivevano con minuscoli roditori, e marsupiali fossili che dimostrano come questi animali siano originari dell’Asia e non dell’Australia dove oggi vivono.

Sul terreno la ricerca di resti di dinosauri non è facile, perché la gran parte delle località fossilifere si trova negli angoli più sperduti e remoti del Gobi, raggiungibili soltanto con apposite spedizioni, e poi perché la raccolta o l’acquisto di fossili sono espressamente vietati dalla legge. Ci si deve accontentare quindi della più accessibile zona di Bayanzag, compresa in alcuni itinerari turistici, dove affiorano gli strati del Cretaceo superiore, arenarie e sabbie rossastre che al tramonto si infiammano; è qui che Andrews fece le sue prime scoperte nel 1922 e dove continuano ancora ad affiorare reperti. Anche se non troverete nulla di eclatante, il posto con le sue falesie, i picchi isolati e i dirupi vallivi è magnifico e altamente suggestivo.

Central Museum of Mongolian Dinosaurs
La più ricca collezione di resti di dinosauri in Mongolia si trova nella capitale Ulaan Baatar. Il museo a loro dedicato costituisce un punto imprescindibile per i reperti che vi sono esposti; numerose sale sono ovviamente dedicate ai rettili preistorici, ma anche tutte le altre sezioni risultano interessanti, a cominciare da quelle dedicate alla geologia con bei reperti di meteoriti. Una grande sala ospita uno scheletro completo di Saurolophus, erbivoro con il becco ad anatra alto 8 metri, ed uno di Tarbosaurus, lungo 12 metri e alto cinque; curioso riscontrare come questo enorme carnivoro fosse in realtà un predatore assai scadente, in quanto a causa delle sue brevi zampe anteriori che non arrivavano alla bocca, più che cacciare prede vive dovesse accontentarsi di cibarsi soltanto di carogne.

Diversi nidi di uova emozionano i visitatori, ma il vero pezzo forte del museo è costituito dagli scheletri di due dinosauri di 80 milioni di anni fa, morti avvinghiati in combattimento: un Protoceratops, un erbivoro grande come una pecora con il capo increspato, e un carnivoro Verociraptor; gli artigli del rapace sono rimasti uncinati al ventre dell’erbivoro, che a sua volta stava azzannando la zampa destra del rapace. Si tratta forse della scena più eloquente e realistica sulla vita di animali estinti di tutta la storia scientifica. Commovente anche l’immagine di un Oviraptor, depredatore di nidi per antonomasia, sorpreso da un crollo di sabbia mentre proteggeva il nido con le proprie uova. Alla faccia della teoria secondo la quale i dinosauri non avrebbero dedicato alcuna cura alla loro prole, che veniva lasciata sola a provvedere a se stessa.
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