Ravenna: Patrimonio dell'umanità
Quanto è importante il mare per la vita dell’uomo. Oltre ad offrire materiale a poeti, pittori, canzonieri e innamorati, svolge da millenni la funzione di collegamento tra popoli e civiltà. Il mare, forse perché patria del vendicativo Poseidone, è anche un crudele campo di battaglia; lo scrigno di indicibili tesori, passioni e sofferenze. Il magnifico moto delle sue onde si collega alla storia, alle vicende di piccoli e grandi uomini che nel mare hanno visto infinite opportunità.
Testo di Cristiano Pinotti, fotografie di Angelo Fanzini
Se è improbabile pensare a Roma senza Ostia, che ne era il porto, a maggior ragione è impossibile comprendere Ravenna senza lo scalo di Classe, che però, mestamente, si interra nell’alto medioevo. Poi con l’apertura del canale Corsini, unito alla scoperta di importanti giacimenti di metano, la città riprende slancio sino a divenire, di nuovo, uno scalo tra i principali d’Italia, alla faccia di un mare distante chilometri.
Ma a chi poco interessano terminal e business, il mare manca ancora, così come è anelato dai volti orientaleggianti composti nelle piccole tessere dei mosaici di Ravenna. Proprio questi volti ci porteranno alla scoperta di una città ricca di tesori che letteralmente sprofondano nella terra, ma al contempo celebrano un periodo difficile, controverso, in quasi tutta l’Italia fonte di umiliazione e miseria, qui, di una ricchezza con pochi paragoni.
Colonia romana, Ravenna è scelta da Augusto come sede della Classis, la flotta pretoria del Mediterraneo orientale. Un atto militare che si traduce in continui contatti con l’oriente e che segnerà per sempre il destino della città. Con Onorio la città assurge a capitale dell’impero romano d’occidente e, pochi decenni più tardi, pare l’unica realtà a sopravvivere alla caduta di Roma.
Il “barbaro” Odoacre, ancora una volta, la sceglie come capitale del suo regno, per lasciare poi il testimone a Teodorico che conferirà a Ravenna la sua duplice identità in bilico tra romanità e cultura gota, tra cattolicesimo e arianesimo. Infine arriva l’esercito di Belisario e con esso l’influenza bizantina. Sarà Giustiniano l’ultimo imperatore a far grande la città.
Ci siamo “dilungati” nel puntualizzare alcuni passaggi storici per sottolineare come le vicende politiche della città ne abbiamo influenzato l’aspetto. Ravenna, infatti, rappresenta un "unicum" che vive lo splendore di una stagione incredibile: il passaggio della cultura romana ai popoli barbari e, ancora, il suo innestarsi su un tessuto connettivo di chiara impronta orientale. Ma è tempo di entrare in città.
I monumenti religiosi
Due corpi ottagonali concentrici in laterizi. È questa l’originale struttura di S. Vitale, probabilmente la più orientale di tutte le chiese di Ravenna. Ma gli occhi, più che dall'originalità dell’architettura, sono attratti dai suoi interni, da quel gioco di ombre e luci diffuse dalle finestre in alabastro che vanno a svelare opere scultoree di pregevole fattura, ma soprattutto affascinanti mosaici che raccontano storie bibliche e celebrano i potenti dell’epoca: Giustiniano e Teodora. Collegato alla basilica ecco il Museo Nazionale in cui è raccolta una variegata collezione lapidea di chiara impronta latina. Interessante anche la collezione di vetri proveniente dagli scavi di Classe, i bronzi e i tessuti copti e medioevali. Da non perdere anche la raccolta di avori, di icone e di maioliche.
Poco discosto un altro monumento che ci tuffa nello straordinario e complicatissimo periodo storico tra la fine dell’epoca romana e l’inizio di quella medioevale. È il Mausoleo di Galla Placidia, costruito tra il 425 e il 450 dalla figlia di Teodosio, imperatrice pro tempore a causa della minorità di Valentiniano III. Interrata di oltre un metro, è una costruzione a forma di croce con volte a botte. L’interno è tutto un rivestimento musivo in cui spiccano le figure di otto apostoli, i motivi floreali, il supplizio di San Lorenzo e il Buon Pastore.
Portato a termine dal Vescovo Neone (da cui il suo “secondo” nome di Battistero Neoniano) il Battistero degli Ortodossi è un classico prisma ottagonale, il cui scarno aspetto esterno si contrappone a un interno fatto di arcate e arcatelle e fregiato di una spettacolare cupola a mosaico in cui spicca il Battesimo di Cristo con i dodici Apostoli.
Ed eccola un’altra peculiarità di Ravenna. Con S. Apollinare Nuovo scopriamo la presenza del culto ariano portato nella città romana dai goti di Teodorico. Fu proprio il re a volere questo edificio, costruito tra il 493 e il 496, poi riconvertito al culto cattolico una settantina di anni più tardi, con la dedica a S. Apollinare. Il portico cinquecentesco e il barocco soffitto a cassettoni non traggano in inganno, anche qui ci troviamo di fronte a uno spettacolo dell’età tra Roma e Medioevo. Bellissimo il campanile cilindrico e databile a cavallo del IX-X secolo. Ancora una volta l’interno è un tripudio di mosaici di epoca teodoriciana e giustinianea. Da gustare in tutta la loro valenza di testimonianza storica le rappresentazioni del palazzo di Teodorico, del porto e della città di Classe.
I cosiddetti “quartieri goti” si completano con il Battistero degli Ariani, edificato a cavallo tra il V e il VI secolo (oggi in parte interrato presenta una cupola decorata a mosaico che raffigura l'incoronazione di Cristo), ma soprattutto con il Mausoleo di Teodorico, posto appena fuori dal recinto urbano. Anche in questo caso ci troviamo davanti a un’architettura particolare: un blocco inferiore decagonale, sormontato da un corpo circolare, chiuso da una calotta monolitica. La tradizione (non suffragata dalla storia) identifica come sepolcro del re goto la vasca in porfido ivi contenuta.
Com’è giusto, dato le nostre premesse, chiudiamo la nostra visita a Ravenna con S. Apollinare in Classe, la basilica la cui primitiva ubicazione la vedeva lambita dalle banchine del porto. Oggi, siamo ben fuori dalla città, l’acqua del mare è lontana e la costruzione si eleva, maestosa e suggestiva, in aperta campagna. L’esterno è una semplice facciata in muratura su cui si apre una grande ed elegante trifora. In armonia con la facciata, si erge una robusta torre campanaria cilindrica, adorna di feritoie, monofore, bifore e trifore che ne ingentiliscono la costruzione. L’interno, suddiviso in tre navate, colpisce per la solennità degli spazi, sottolineati da 24 colonne in marmo greco sormontate da capitelli bizantini. L’arco trionfale e la conca absidale sono decorati da mosaici che tolgono il fiato, databili in un arco di diversi secoli, ma tutti figli dell’identica matrice bizantina.
Ario e il Concilio di Nicea
Quella che venne bollata come “eresia” nel concilio ecumenico di Nicea è una delle tante controversie dottrinali che pervasero la Chiesa nei suoi primi secoli di vita. Il prete alessandrino Ario sosteneva, infatti, la superiore natura del Padre rispetto al Figlio e si opponeva all’idea, portata avanti dal suo principale antagonista Atanasio, che attribuiva alla seconda persona della Trinità la medesima natura del Padre. Tali diatribe teologiche – che oggi, nella semplificazione massima che contraddistingue la vita e il senso comune, sembrano discussioni di lana caprina – all’epoca erano in grado di far muovere eserciti e interi popoli e arrivarono alla loro conclusione dottrinale con il Concilio di Nicea del 325 che sancì la “vittoria” della dottrina di Atanasio.
Il concilio ecumenico, cui partecipò lo stesso Costantino, non mise però fine ai dissensi, che continuarono con l’abolizione dell’esilio per Ario e con i favori imperiali verso la sua dottrina attraverso le disposizioni di Costanzo II che giunse ad annullare le decisioni di Nicea. Quasi contemporaneamente, il vescovo goto Ulfila traduceva le Sacre Scritture nella propria lingua e convertiva il suo popolo al cristianesimo nella sua accezione ariana.
In questo susseguirsi di colpi di scena fece poi il suo ingresso l’imperatore Giuliano (che la tradizione cristiana bollò come “apostata”), fermamente convinto a ripristinare il politeismo di origine classica e che abrogò tutte le concessioni elargite agli episcopi cristiani. La sua prematura morte e l’ascesa al trono di Teodosio riportò, nel 381, il mondo ecumenico alle decisioni di Nicea. L’arianesimo era definitivamente bollato come eresia cristologica e trinitaria, ma il suo influsso sarebbe continuato ancora per molti anni, esasperando la divisione tra i germani (di culto ariano) e la popolazione romana.
Ma a chi poco interessano terminal e business, il mare manca ancora, così come è anelato dai volti orientaleggianti composti nelle piccole tessere dei mosaici di Ravenna. Proprio questi volti ci porteranno alla scoperta di una città ricca di tesori che letteralmente sprofondano nella terra, ma al contempo celebrano un periodo difficile, controverso, in quasi tutta l’Italia fonte di umiliazione e miseria, qui, di una ricchezza con pochi paragoni.
Colonia romana, Ravenna è scelta da Augusto come sede della Classis, la flotta pretoria del Mediterraneo orientale. Un atto militare che si traduce in continui contatti con l’oriente e che segnerà per sempre il destino della città. Con Onorio la città assurge a capitale dell’impero romano d’occidente e, pochi decenni più tardi, pare l’unica realtà a sopravvivere alla caduta di Roma.
Il “barbaro” Odoacre, ancora una volta, la sceglie come capitale del suo regno, per lasciare poi il testimone a Teodorico che conferirà a Ravenna la sua duplice identità in bilico tra romanità e cultura gota, tra cattolicesimo e arianesimo. Infine arriva l’esercito di Belisario e con esso l’influenza bizantina. Sarà Giustiniano l’ultimo imperatore a far grande la città.
Ci siamo “dilungati” nel puntualizzare alcuni passaggi storici per sottolineare come le vicende politiche della città ne abbiamo influenzato l’aspetto. Ravenna, infatti, rappresenta un "unicum" che vive lo splendore di una stagione incredibile: il passaggio della cultura romana ai popoli barbari e, ancora, il suo innestarsi su un tessuto connettivo di chiara impronta orientale. Ma è tempo di entrare in città.
I monumenti religiosi
Due corpi ottagonali concentrici in laterizi. È questa l’originale struttura di S. Vitale, probabilmente la più orientale di tutte le chiese di Ravenna. Ma gli occhi, più che dall'originalità dell’architettura, sono attratti dai suoi interni, da quel gioco di ombre e luci diffuse dalle finestre in alabastro che vanno a svelare opere scultoree di pregevole fattura, ma soprattutto affascinanti mosaici che raccontano storie bibliche e celebrano i potenti dell’epoca: Giustiniano e Teodora. Collegato alla basilica ecco il Museo Nazionale in cui è raccolta una variegata collezione lapidea di chiara impronta latina. Interessante anche la collezione di vetri proveniente dagli scavi di Classe, i bronzi e i tessuti copti e medioevali. Da non perdere anche la raccolta di avori, di icone e di maioliche.
Poco discosto un altro monumento che ci tuffa nello straordinario e complicatissimo periodo storico tra la fine dell’epoca romana e l’inizio di quella medioevale. È il Mausoleo di Galla Placidia, costruito tra il 425 e il 450 dalla figlia di Teodosio, imperatrice pro tempore a causa della minorità di Valentiniano III. Interrata di oltre un metro, è una costruzione a forma di croce con volte a botte. L’interno è tutto un rivestimento musivo in cui spiccano le figure di otto apostoli, i motivi floreali, il supplizio di San Lorenzo e il Buon Pastore.
Portato a termine dal Vescovo Neone (da cui il suo “secondo” nome di Battistero Neoniano) il Battistero degli Ortodossi è un classico prisma ottagonale, il cui scarno aspetto esterno si contrappone a un interno fatto di arcate e arcatelle e fregiato di una spettacolare cupola a mosaico in cui spicca il Battesimo di Cristo con i dodici Apostoli.
Ed eccola un’altra peculiarità di Ravenna. Con S. Apollinare Nuovo scopriamo la presenza del culto ariano portato nella città romana dai goti di Teodorico. Fu proprio il re a volere questo edificio, costruito tra il 493 e il 496, poi riconvertito al culto cattolico una settantina di anni più tardi, con la dedica a S. Apollinare. Il portico cinquecentesco e il barocco soffitto a cassettoni non traggano in inganno, anche qui ci troviamo di fronte a uno spettacolo dell’età tra Roma e Medioevo. Bellissimo il campanile cilindrico e databile a cavallo del IX-X secolo. Ancora una volta l’interno è un tripudio di mosaici di epoca teodoriciana e giustinianea. Da gustare in tutta la loro valenza di testimonianza storica le rappresentazioni del palazzo di Teodorico, del porto e della città di Classe.
I cosiddetti “quartieri goti” si completano con il Battistero degli Ariani, edificato a cavallo tra il V e il VI secolo (oggi in parte interrato presenta una cupola decorata a mosaico che raffigura l'incoronazione di Cristo), ma soprattutto con il Mausoleo di Teodorico, posto appena fuori dal recinto urbano. Anche in questo caso ci troviamo davanti a un’architettura particolare: un blocco inferiore decagonale, sormontato da un corpo circolare, chiuso da una calotta monolitica. La tradizione (non suffragata dalla storia) identifica come sepolcro del re goto la vasca in porfido ivi contenuta.
Com’è giusto, dato le nostre premesse, chiudiamo la nostra visita a Ravenna con S. Apollinare in Classe, la basilica la cui primitiva ubicazione la vedeva lambita dalle banchine del porto. Oggi, siamo ben fuori dalla città, l’acqua del mare è lontana e la costruzione si eleva, maestosa e suggestiva, in aperta campagna. L’esterno è una semplice facciata in muratura su cui si apre una grande ed elegante trifora. In armonia con la facciata, si erge una robusta torre campanaria cilindrica, adorna di feritoie, monofore, bifore e trifore che ne ingentiliscono la costruzione. L’interno, suddiviso in tre navate, colpisce per la solennità degli spazi, sottolineati da 24 colonne in marmo greco sormontate da capitelli bizantini. L’arco trionfale e la conca absidale sono decorati da mosaici che tolgono il fiato, databili in un arco di diversi secoli, ma tutti figli dell’identica matrice bizantina.
Ario e il Concilio di Nicea
Quella che venne bollata come “eresia” nel concilio ecumenico di Nicea è una delle tante controversie dottrinali che pervasero la Chiesa nei suoi primi secoli di vita. Il prete alessandrino Ario sosteneva, infatti, la superiore natura del Padre rispetto al Figlio e si opponeva all’idea, portata avanti dal suo principale antagonista Atanasio, che attribuiva alla seconda persona della Trinità la medesima natura del Padre. Tali diatribe teologiche – che oggi, nella semplificazione massima che contraddistingue la vita e il senso comune, sembrano discussioni di lana caprina – all’epoca erano in grado di far muovere eserciti e interi popoli e arrivarono alla loro conclusione dottrinale con il Concilio di Nicea del 325 che sancì la “vittoria” della dottrina di Atanasio.
Il concilio ecumenico, cui partecipò lo stesso Costantino, non mise però fine ai dissensi, che continuarono con l’abolizione dell’esilio per Ario e con i favori imperiali verso la sua dottrina attraverso le disposizioni di Costanzo II che giunse ad annullare le decisioni di Nicea. Quasi contemporaneamente, il vescovo goto Ulfila traduceva le Sacre Scritture nella propria lingua e convertiva il suo popolo al cristianesimo nella sua accezione ariana.
In questo susseguirsi di colpi di scena fece poi il suo ingresso l’imperatore Giuliano (che la tradizione cristiana bollò come “apostata”), fermamente convinto a ripristinare il politeismo di origine classica e che abrogò tutte le concessioni elargite agli episcopi cristiani. La sua prematura morte e l’ascesa al trono di Teodosio riportò, nel 381, il mondo ecumenico alle decisioni di Nicea. L’arianesimo era definitivamente bollato come eresia cristologica e trinitaria, ma il suo influsso sarebbe continuato ancora per molti anni, esasperando la divisione tra i germani (di culto ariano) e la popolazione romana.