Rep. Dominicana: il litorale del sud-est
Il suo nome originario in lingua indigena Taino è “Quisqueya” e vuol dire “madre di tutte le terre”. Oggi la Repubblica Dominicana, il paese più piccolo dei Caraibi, è figlia di una storia che ha nella figura di Cristoforo Colombo la sua icona più significativa. Il nome dell’ammiraglio genovese che questa terra la scoprì il 5 dicembre 1492, si legge dappertutto – su strade, statue, musei e sulla bocca dei locali non appena sentono nominare l’Italia.
Testo e foto a cura della redazione
Ribattezzata per privilegio reale con il nome di Isola di Santo Domingo nel 1508 da re Ferdinando di Spagna, la Repubblica Dominicana si estende sui due terzi dell’isola di Hispaniola che condivide con la Repubblica di Haiti. La sua capitale è la città più antica del Nuovo Mondo, fondata il 4 agosto 1496, dal fratello di Cristoforo Colombo, l’Illustrissimo Governatore delle Terre di Frontiera Don Bartolomeo Colombo. E di Santo Domingo basti dire che conserva un patrimonio coloniale unico al mondo, fatto di oltre 300 monumenti racchiusi nel centro storico protetto dall’Unesco come Patrimonio Mondiale dell’Umanità.
Il nostro viaggio ci porta a La Romana, verso la Terra dove sorge il sole, ovvero il Sud-est dominicano. Così è chiamata questa striscia di litorale che, nella sua parte più meridionale, ha il privilegio di assistere allo sposalizio di due acque, quelle oceaniche dell’Atlantico e quelle trasparenti del Mar dei Caraibi. Famosa per la produzione della canna da zucchero e il commercio del bestiame, la regione sudorientale si divide in cinque province: San Pedro de Macorìs, Hato Mayor, El Seibo, La Romana e La Altagracia. Tra le attrazioni di cui la regione va fiera, si annoverano Casa de Campo e Bayahibe. Il primo è il complesso turistico più prestigioso e famoso del Caribe, approdo di Vip e uomini politici, la seconda è una delle spiagge più belle del litorale.
A soli 8 chilometri da Casa de Campo si trova Altos de Chavòn (Altezze di Chavòn), un villaggio mediterraneo nel centro della natura caraibica. Ricostruito negli anni Settanta dall’italiano Roberto Coppa, il villaggio è oggi un rifugio di artisti, una sorta di cittadella dell’arte che vanta gallerie, una scuola, un anfiteatro in stile greco e un museo archeologico dedicato ai primi abitanti dell’isola, gli aborigeni Taìnos. Da Altos partono le escursioni che portano fino al fiume Chavòn, un concentrato di prodigi della natura che ha ispirato le scene di film come King Kong e Apocalypse Now, girate proprio qui.
Bayahibe è la classica spiaggia caraibica ornata di palme e rivestita di sabbia bianca e fine come borotalco che introduce in un letto d’acqua tiepida e color turchese come solo il Mar dei Caraibi sa essere. Un tempo selvaggia e disabitata, oggi è animata da strutture turistiche integrate all’ambiente in nome della salvaguardia della “naturaleza” che è sempre sulla bocca di tutti. Bungalow a mò di capanne taìno direttamente sulla spiaggia, ritmi latinoamericani di sottofondo e intrattenimenti vari fanno di questi stabilimenti l’approdo sicuro di molte famiglie e, soprattutto, di coppie in viaggio di nozze.
Una delle escursioni più emozionanti da fare, è senza dubbio quella che conduce in barca all’isola di Saona, nel bel mezzo del Parco Nazionale dell’Est, di cui fa parte, insieme a Saona, anche l’isola di Catalina. Si tratta di un’area protetta, vero e proprio santuario della flora e fauna dominicana, dove vengono conservate le specie in via di estinzione. Si attraversa un paesaggio incontaminato di abbondante natura, prima di sfiorare con lo sguardo la linea di congiunzione dei due mari con il gioco di colori che ne consegue. Alte e basse maree contribuiscono a modellare gli spazi di terra e acqua che si estendono a vista d’occhio in questo incontaminato angolo dei Caraibi e formano lagune color verde smeraldo dove si possono toccare con mano stelle marine giganti, per poi riporle nel loro ambiente subacqueo.
Saona è un piccolo grande capolavoro della natura, come possono esserlo quei posti così inavvicinabili che persino il contatto con il turismo sembra fuori luogo. L’isola è abitata quasi interamente da pescatori, donne di pescatori e figli di pescatori. Tra i suoi villaggi più caratteristici, quello di Mano Juan, un miraggio imprigionato nel sole e sperduto nel tempo. Pochi passi conducono alla via parallela alla spiaggia dove sorge uno spontaneo mercatino di artigianato fatto da una serie di capanne colorate che si susseguono a vista d’occhio da un lato, e dall’altro le abitazioni modeste, per non dire misere, di donne e bambini. I colori vivaci delle capanne e dei quadri dipinti su tela (i più tipici prodotti dell’artigianato locale) sono il tratto distintivo della via “pedonale” del villaggio, mentre palme, barche, spiaggia vellutata e corallina, silenzio e mare verde smeraldo fanno il resto.
Tra le città più caratteristiche della regione, San Pedro de Macorìs rimane impressa per il suo mix di stili classici e vittoriani insieme all’architettura popolare, che rispecchia le sue origini eterogenee: fondata all’inizio dell'800 da immigrati francesi, spagnoli, tedeschi, italiani e arabi insieme agli indigeni originari dell'area. La città è capoluogo di provincia dal 1882, periodo in cui la ricchezza proveniente dalle esportazioni di zucchero verso gli Stati Uniti fece di San Pedro una realtà molto florida tanto da essere chiamata la “Sultana dell’Est”. Fu allora che palazzi lussuosi in stile neoclassico e vittoriano si fusero con le abitazioni autoctone degli umili operai (chiamati “cocolos”) che giunsero dalle vicine isole britanniche di Sopravvento e Sottovento, attirati dalla ricchezza del boom economico del momento, battezzato la “danza dei milioni”. Ancora oggi questi stili popolari sono facilmente riconoscibili a San Pedro.
Con un fuori porta un po’ improvvisato, ci inoltriamo in una delle zone più povere della città, per incontrare – con un po’ di fortuna – uno dei “curanderi” (guaritori) di cui ci parla la guida accennando alla “santeria” dominicana, a quanto pare molto fervida. La Repubblica Dominicana è un paese per la stragrande maggioranza (95%) di fede cattolica. Ciò non toglie che la libertà di culto sancita per i suoi cittadini, restituisca alcune espressioni di spiritualità non ortodossa intrisa di magia nera, animismo e quant’altro.
Il retroterra antropologico del Nuovo Mondo è fatto dalle abitudini indigene dei Taìno con i loro cerimoniali e la figura del “cacique” in primo piano. Era questo il capo tribù, spesso raffigurato nelle loro rudimentali pitture rupestri, con le sembianze di un pipistrello. Di questi graffiti se ne possono vedere in gran quantità in alcune grotte dove si conservano ancora nitide alcune incisioni. Da San Pedro si può raggiungere facilmente la Grotta de las Maravillas, una delle principali zone archeologiche dell’isola, una caverna ricca di queste pitture risalenti al periodo Taìno precolombiano.
Qui sono stati ritrovati anche molti oggetti, custoditi oggi nel Museo dell’Uomo a Santo Domingo dove si trova un’ampia sezione dedicata al periodo Paleoindio e Neoindio con interessanti approfondimenti fotografici sui rituali dei Taìno. Oggi la gente dominicana non si identifica con nessuna etnia in particolare, e ama definirsi come un “sancocho de raza”, ovvero un mix di almeno cinque razze (meticci, zambi, mulatti, neri e bianchi). L’artigianato rispecchia questa peculiarità antropologica nelle caratteristiche “limè”, bambole di ceramica dipinte a mano, senza volto, emblema del senza-razza dominicano.
A voler riassumere le impressioni del viaggio, è un mondo fatto di colori ciò che rimane nella memoria; colori vivi e accesi che spesso stridono con la grigia miseria che si scorge non appena si valica la frontiera delle grandi strutture turistiche, senza nemmeno doverla cercare troppo lontano. Il colore vivo allontana lo spirito maligno, ecco perché, ad ogni fine d'anno, è usanza pitturare con un colore sempre diverso la propria abitazione. Ecco perché i colori della case nella Terra dove sorge il sole sembrano non cedere allo sfinimento del tempo.
Informazioni utili
Il nostro viaggio ci porta a La Romana, verso la Terra dove sorge il sole, ovvero il Sud-est dominicano. Così è chiamata questa striscia di litorale che, nella sua parte più meridionale, ha il privilegio di assistere allo sposalizio di due acque, quelle oceaniche dell’Atlantico e quelle trasparenti del Mar dei Caraibi. Famosa per la produzione della canna da zucchero e il commercio del bestiame, la regione sudorientale si divide in cinque province: San Pedro de Macorìs, Hato Mayor, El Seibo, La Romana e La Altagracia. Tra le attrazioni di cui la regione va fiera, si annoverano Casa de Campo e Bayahibe. Il primo è il complesso turistico più prestigioso e famoso del Caribe, approdo di Vip e uomini politici, la seconda è una delle spiagge più belle del litorale.
A soli 8 chilometri da Casa de Campo si trova Altos de Chavòn (Altezze di Chavòn), un villaggio mediterraneo nel centro della natura caraibica. Ricostruito negli anni Settanta dall’italiano Roberto Coppa, il villaggio è oggi un rifugio di artisti, una sorta di cittadella dell’arte che vanta gallerie, una scuola, un anfiteatro in stile greco e un museo archeologico dedicato ai primi abitanti dell’isola, gli aborigeni Taìnos. Da Altos partono le escursioni che portano fino al fiume Chavòn, un concentrato di prodigi della natura che ha ispirato le scene di film come King Kong e Apocalypse Now, girate proprio qui.
Bayahibe è la classica spiaggia caraibica ornata di palme e rivestita di sabbia bianca e fine come borotalco che introduce in un letto d’acqua tiepida e color turchese come solo il Mar dei Caraibi sa essere. Un tempo selvaggia e disabitata, oggi è animata da strutture turistiche integrate all’ambiente in nome della salvaguardia della “naturaleza” che è sempre sulla bocca di tutti. Bungalow a mò di capanne taìno direttamente sulla spiaggia, ritmi latinoamericani di sottofondo e intrattenimenti vari fanno di questi stabilimenti l’approdo sicuro di molte famiglie e, soprattutto, di coppie in viaggio di nozze.
Una delle escursioni più emozionanti da fare, è senza dubbio quella che conduce in barca all’isola di Saona, nel bel mezzo del Parco Nazionale dell’Est, di cui fa parte, insieme a Saona, anche l’isola di Catalina. Si tratta di un’area protetta, vero e proprio santuario della flora e fauna dominicana, dove vengono conservate le specie in via di estinzione. Si attraversa un paesaggio incontaminato di abbondante natura, prima di sfiorare con lo sguardo la linea di congiunzione dei due mari con il gioco di colori che ne consegue. Alte e basse maree contribuiscono a modellare gli spazi di terra e acqua che si estendono a vista d’occhio in questo incontaminato angolo dei Caraibi e formano lagune color verde smeraldo dove si possono toccare con mano stelle marine giganti, per poi riporle nel loro ambiente subacqueo.
Saona è un piccolo grande capolavoro della natura, come possono esserlo quei posti così inavvicinabili che persino il contatto con il turismo sembra fuori luogo. L’isola è abitata quasi interamente da pescatori, donne di pescatori e figli di pescatori. Tra i suoi villaggi più caratteristici, quello di Mano Juan, un miraggio imprigionato nel sole e sperduto nel tempo. Pochi passi conducono alla via parallela alla spiaggia dove sorge uno spontaneo mercatino di artigianato fatto da una serie di capanne colorate che si susseguono a vista d’occhio da un lato, e dall’altro le abitazioni modeste, per non dire misere, di donne e bambini. I colori vivaci delle capanne e dei quadri dipinti su tela (i più tipici prodotti dell’artigianato locale) sono il tratto distintivo della via “pedonale” del villaggio, mentre palme, barche, spiaggia vellutata e corallina, silenzio e mare verde smeraldo fanno il resto.
Tra le città più caratteristiche della regione, San Pedro de Macorìs rimane impressa per il suo mix di stili classici e vittoriani insieme all’architettura popolare, che rispecchia le sue origini eterogenee: fondata all’inizio dell'800 da immigrati francesi, spagnoli, tedeschi, italiani e arabi insieme agli indigeni originari dell'area. La città è capoluogo di provincia dal 1882, periodo in cui la ricchezza proveniente dalle esportazioni di zucchero verso gli Stati Uniti fece di San Pedro una realtà molto florida tanto da essere chiamata la “Sultana dell’Est”. Fu allora che palazzi lussuosi in stile neoclassico e vittoriano si fusero con le abitazioni autoctone degli umili operai (chiamati “cocolos”) che giunsero dalle vicine isole britanniche di Sopravvento e Sottovento, attirati dalla ricchezza del boom economico del momento, battezzato la “danza dei milioni”. Ancora oggi questi stili popolari sono facilmente riconoscibili a San Pedro.
Con un fuori porta un po’ improvvisato, ci inoltriamo in una delle zone più povere della città, per incontrare – con un po’ di fortuna – uno dei “curanderi” (guaritori) di cui ci parla la guida accennando alla “santeria” dominicana, a quanto pare molto fervida. La Repubblica Dominicana è un paese per la stragrande maggioranza (95%) di fede cattolica. Ciò non toglie che la libertà di culto sancita per i suoi cittadini, restituisca alcune espressioni di spiritualità non ortodossa intrisa di magia nera, animismo e quant’altro.
Il retroterra antropologico del Nuovo Mondo è fatto dalle abitudini indigene dei Taìno con i loro cerimoniali e la figura del “cacique” in primo piano. Era questo il capo tribù, spesso raffigurato nelle loro rudimentali pitture rupestri, con le sembianze di un pipistrello. Di questi graffiti se ne possono vedere in gran quantità in alcune grotte dove si conservano ancora nitide alcune incisioni. Da San Pedro si può raggiungere facilmente la Grotta de las Maravillas, una delle principali zone archeologiche dell’isola, una caverna ricca di queste pitture risalenti al periodo Taìno precolombiano.
Qui sono stati ritrovati anche molti oggetti, custoditi oggi nel Museo dell’Uomo a Santo Domingo dove si trova un’ampia sezione dedicata al periodo Paleoindio e Neoindio con interessanti approfondimenti fotografici sui rituali dei Taìno. Oggi la gente dominicana non si identifica con nessuna etnia in particolare, e ama definirsi come un “sancocho de raza”, ovvero un mix di almeno cinque razze (meticci, zambi, mulatti, neri e bianchi). L’artigianato rispecchia questa peculiarità antropologica nelle caratteristiche “limè”, bambole di ceramica dipinte a mano, senza volto, emblema del senza-razza dominicano.
A voler riassumere le impressioni del viaggio, è un mondo fatto di colori ciò che rimane nella memoria; colori vivi e accesi che spesso stridono con la grigia miseria che si scorge non appena si valica la frontiera delle grandi strutture turistiche, senza nemmeno doverla cercare troppo lontano. Il colore vivo allontana lo spirito maligno, ecco perché, ad ogni fine d'anno, è usanza pitturare con un colore sempre diverso la propria abitazione. Ecco perché i colori della case nella Terra dove sorge il sole sembrano non cedere allo sfinimento del tempo.
Informazioni utili
- Documenti e formalità per l'ingresso. Passaporto con validità residua di almeno 6 mesi senza obbligo di visto per soggiorni turistici fino a due mesi. Tassa turistica di ingresso "Tarjeta de Turista", valida 30 giorni. Viene rilasciata all'aeroporto e va conservata fino alla partenza. Nessuna vaccinazione obbligatoria.
- Lingua ufficiale lo Spagnolo, l'Inglese è parlato nelle aree turistiche.
- La moneta locale è il Peso dominicano.
- Fuso orario. 5 ore in meno rispetto all'Italia, 6 quando in Italia vige l'ora legale.
- Clima caldo umido tropicale tutto l'anno, stagione delle piogge da maggio a ottobre, secca da novembre ad aprile.
- Prefisso internazionale 001809; per telefonare in Italia comporre 01139.
- La tensione della corrente elettrica domestica è di 110 V 60 Hz. Prese elettriche di tipo americano. Per apparecchi elettrici portatili in standard europeo è necessario l’adattatore.
- Permesso di guida. E' riconosciuta la patente di guida italiana.