Sicilia: Grand tour dell'isola
Sicilia, una grande isola nel cuore del Mediterraneo, una terra che ha visto susseguirsi popolazioni autoctone e coloni greci, cartaginesi e romani, arabi e normanni, borbonici e garibaldini, monarchie e repubbliche. Una storia complessa, ricca di relazioni, intrecci, rapporti con popoli e culture che hanno dato molto, o che si sono limitati a depredare. Alcune epoche, su tutte il periodo ellenico e quello medioevale, hanno lasciato cadere molti sassolini, che l’ostrica siciliana ha trasformato in altrettante perle. Se poi a questo immenso patrimonio si aggiunge la presenza del maestoso e turbolento Etna e gli echi della prosa verghiana, è facile intuire come si possa seguire un itinerario in Sicilia, senza impigrirsi sul bagnasciuga.
Testo di Cristiano Pinotti, fotografie di Angelo Fanzini
La costa orientale
Lasciata Catania alle nostre spalle, i primi centri che incontriamo sono Aci Castello ed Aci Trezza, paesi che sembra di conoscere da sempre, dove “Un tempo i Malavoglia erano stati numerosi come i sassi della strada vecchia…” Le parole di Verga, i suoi romanzi e le sue novelle, uniti alla presenza greco-romana saranno il filo conduttore del nostro vagare in questa terra di Sicilia che - lo diciamo subito e una sola volta, per non doverci ripetere all’infinito – se fosse correttamente e adeguatamente valorizzata per le sue infinite possibilità, tornerebbe ad essere l’antico granaio dell’impero, dove le spighe/turisti ondeggiano tra mare, storia e cultura.
Seguiamo lo Ionio, dove spumeggia la sfortunata prua della “Provvidenza”, e raggiungiamo Taormina. Qui cominciamo a gustare il primo assaggio di Sicilia classica. Dell’antica Tauromenion il pezzo forte è senza dubbio il teatro, che ammiriamo nella sua ristrutturazione di epoca imperiale romana. Si accede alla grande cavea (109 metri) attraverso una gradinata tagliata nella roccia, da dove si gode di una splendida vista sul mare sottostante. La mano latina si nota nella trasformazione dello spazio, in origine riservato all’orchestra, in arena da gladiatori e per l’aggiunta del corridoio e del parapetto, tipico degli anfiteatri.
La chiesa di S. Caterina sorge poi su un tempietto del IV secolo a.C., al pari di San Pancrazio costruita su un piccolo tempio dedicato a Iside, le cui originarie strutture sono facilmente identificabili sul lato sinistro della chiesa. In città meritano una visita inoltre il quattrocentesco Palazzo Corvaja, oggi sede del museo di arti popolari; in piazza Duomo la severa cattedrale consacrata a San Nicolò, e il Palazzo dei Duchi di S. Stefano, di epoca normanna, che presenta bifore e archi trilobati di evidente matrice musulmana.
Il Parco Naturale dell'Etna
Dopo una sosta alla suggestiva gola dell'Alcantara, scavata dal fiume omonino tra pareti di rocce basaltiche, entriamo nel Parco Naturale dell’Etna, un paesaggio fatto di boschi e di colate laviche, di grotte e di piste da sci, che offre innumerevoli spunti per escursioni a tutti gli amanti della natura, che qui si scopre nella sua veste più amena e terribile. La salita verso i crateri, o la visione notturna dell’attività vulcanica sono spettacoli che difficilmente si possono dimenticare.
Ai margini del parco ci attira una cittadina famosa non tanto per i suoi monumenti o per la sua Sagra del pistacchio. Bronte, infatti, è la “Libertà” di Verga, la novella che, pur infarcita di fraintendimenti risorgimentali e monarchici, fa emergere la voglia di riscatto delle “berrette” sui “cappelli”, la voglia di terra, di vita, di libertà, per quella massa umana cui questi privilegi erano da sempre negati. Bronte, al di là della trasposizione letteraria, nell'agosto 1860, è stata lo scenario di una breve sommossa popolare soffocata nel sangue da Bixio, uno dei più celebrati eroi garibaldini.
Siracusa e Noto
Lasciamo ancora una volta l’Ottocento per tuffarci nuovamente nell’antichità. Nel Parco archeologico di Neapolis a Siracusa si possono ammirare l’immensa cavea (138 metri) del Teatro greco, con i suoi 67 ordini di gradini, giunto a noi nell'ampliamento voluto da Ierone durante il II secolo a.C e con la zona dedicata all’orchestra che presenta adattamenti di epoca romana; l’Anfiteatro romano, un’imponente costruzione con una gradinata di grande effetto spettacolare; l’Ara di Ierone II, un altare per sacrifici pubblici di cui è rimasto esclusivamente l’enorme basamento.
Da non perdere una visita alle Latomie, antiche cave di calcare famose in special modo per la latomia del Paradiso, che conserva l’Orecchio di Dioniso, una grotta artificiale di incredibile effetto acustico; alle Catacombe di San Giovanni e alle sale del Museo Archeologico Regionale. Il tour della Siracusa archeologica si può completare con il Castello Eurialo, otto chilometri fuori città, un gioiello di ingegneria militare antica voluto dal tiranno Dioniso il Vecchio nel IV secolo a.C., i cui ruderi si estendono su un’area decisamente molto vasta.
Suggestiva è poi la visita dell’Isola di Ortigia, centro storico cittadino, già abitato, come ci ricorda Tucidide, dai Siculi. Un ponte collega gli anonimi edifici della Siracusa moderna a questo piccolo mondo, che conserva infiniti spunti di differenti epoche. Il Castello Maniace, a poche centinaia di metri dall’antica Fonte Aretusa, è una poderosa fortezza quadrata eretta da Federico II nel 1239; le rovine del Tempio di Apollo rappresentano una delle più antiche costruzioni greche costruite nell’area, le cui colonne, tozze e ravvicinate, si possono datare all’inizio del VI secolo a.C. Un capitolo a parte merita il Duomo, costituito da una miracolosa sovrapposizioni di stili. In quest’area, infatti, sui resti della civiltà sicula, i coloni greci edificarono il loro Tempio di Atena, sul quale fu sovrapposta la chiesa cristiana a tre navate; infine la facciata, distrutta dai terremoti si presenta ora in stile barocco siciliano. All’interno le colonne doriche sono ancora perfettamente visibili.
Questo piccolo assaggio di barocco è il preludio a Noto, “giardino di pietra” dove questo stile assurge ai livelli più elevati. L’attuale impianto urbanistico della città risale al 1703, anno in cui fu rifondata a seguito del terribile terremoto del 1693. Un impianto architettonico completamente diverso dalla Noto millenaria, ma che a causa dell’utilizzo della sua caratteristica pietra calcarea, ancora oggi è soggetto alle bizze delle faglie tettoniche e alla friabilità di questo materiale.
Non tutti forse ricorderanno il cedimento, nel 1996, della navata maggiore del Duomo e il conseguente crollo della cupola, duomo che, dopo anni di impegnativi restauri è tornato all'antico splendore, recuperando anche gli originali colori delle cupole. Noto è un susseguirsi di capolavori settecenteschi: il Duomo, San Francesco, Palazzo Ducezio, Palazzo Lanolina, San Domenico, la chiesa di Montevergine, Palazzo Impellizzeri, Sant’Agata, la chiesa del Crocefisso e il Teatro comunale di epoca ottocentesca.
Caltagirone e Piazza Armerina
Dalla città del barocco a quella della ceramica il passo è breve. Caltagirone è colore che si esprime in ogni angolo: vasi, inserti, balaustre parlano il caleidoscopico linguaggio di un’arte che si perde nella notte dei tempi. Da vedere il Museo regionale della Ceramica, la chiesa di San Francesco, quelle di San Domenico, San Giorgio, San Giacomo e Santa Chiara, il Duomo di San Giuliano e Santa Maria del Monte, i cui 142 gradini, rifatti in pietra lavica nel 1953, sono arricchiti da alzate in maiolica, preludio alle tante botteghe artigiane che si aprono sulla scalinata.
Un ultimo salto nel tempo ed eccoci a Piazza Armerina, per ammirare la splendida Villa Romana del Casale, celebre in tutto il mondo per l’imponenza delle sue strutture, ma specialmente per i suoi mosaici perfettamente conservati. La villa patrizia, della prima meta del IV secolo d.C., si estende per circa 3500 metri quadrati e presenta oltre 40 ambienti le cui pavimentazioni sono realizzate esclusivamente a mosaici policromi. Scene di caccia, animali, sacrifici, banchetti, motivi vegetali, miti e leggende rivivono in questa spettacolare e unica manifestazione di epoca imperiale, che permette di osservare le soluzioni ingegneristiche per il riscaldamento degli ambienti, unito a un gusto estremamente raffinato, e spesso assolutamente disinibito, per la bellezza, in tutte le sue forme.
Agrigento
Dall'interno dell'isola puntiamo a sud per raggiungere una delle più spettacolari aree archeologiche d’Italia, e di conseguenza, del mondo, purtroppo inserita all'interno di un territorio in cui la speculazione edilizia, e la latitanza dello Stato, hanno cercato di oscurarne la bellezza e l’importanza storica. Fondata dai coloni di Gela, verso il 580 a.C., Agrigento occupava un’area, per quei tempi, enorme: circa 450 ettari. Al centro dell’impianto urbano un pianoro, quello che oggi è universalmente conosciuto come la Valle dei Templi. Quest’area, patrimonio dell’Umanità, conserva monumenti che, nella maggioranza dei casi, sono databili al V secolo a.C., il suo periodo di massimo splendore. Il Tempio di Giunone Lacinia, il famosissimo Tempio della Concordia, il Tempio di Ercole e il gigantesco Tempio di Giove Olimpico, tutti in stile dorico e costruiti in giallo tufo arenario, permettono di comprendere l’assoluta magnificenza cittadina. Perdersi tra queste possenti colonne, magari sul calar del sole, quando la luce radente disegna e accende la pietra, è una sensazione impagabile.
Selinunte
Seguendo la costa meridionale della Sicilia il prossimo appuntamento archeologico è con Selinunte. La storia della città è una vicenda che occupa circa due secoli: dalla sua fondazione, databile attorno al 630 a.C., ad opera dei coloni di Megera Hyblaea; fino alla sua distruzione, nel 409, ad opera dei cartaginesi e dei loro alleati di Segesta. Due soli secoli che hanno permesso ai selinuntini di lasciarci in eredità un interessante complesso cittadino greco, scandito da templi, santuari, necropoli, porti e fortificazioni. La vastità degli scavi testimonia l’importanza della città, che occupava diverse colline prospicienti il mare. Dei monumentali edifici che costituivano l’antica Selinunte, il tempio E, dorico, ricostruito negli anni Cinquanta, dà solo una parziale idea della grandiosità che si doveva respirare in questa città, in epoca preromana.
Segesta
Dell’antica città rivale di Selinunte e alleata dei cartaginesi, oggi rimane ben poco: qualche vestigia e poche gradinate del teatro. L’opera dei vandali, dei saraceni e del tempo, ha però preservato un gioiello che sembra sorgere dalla campagna circostante: il possente tempio dorico che domina il paesaggio, testimone solenne di un’epoca in cui la Sicilia era la punta di diamante di un’Italia che, faticosamente, cominciava a intraprendere la via della civiltà. Databile attorno al 430 a.C., presenta 6 colonne sul fronte e 14 sui lati lunghi, architrave, fregio e frontoni. La sua vista solitaria, immersa in un paesaggio brullo e incolto, è uno di quei sottili giochi di piacere, di cui solo la Storia conosce le regole.
Saline di Trapani
Il sale, da quando l’uomo ha cominciato ad avere chiara la sua funzione su questo pianeta, rappresenta un’assoluta ricchezza. Lo si evince da infiniti detti popolari, da importanti vie di comunicazione il cui toponimo è di chiara derivazione “salina”, dall'uso del sale come moneta. Lo si vede da un paesaggio che il sale ha completamente trasformato e vive una sua essenza fatta di vasche multicolori, di cumuli bianchi, di bagliori luminescenti, di una fauna e di una flora che proliferano in questo territorio creato dall'uomo. Le Saline di Trapani sono proprio così, una delle più interessanti zone umide d’Europa, protetta dal WWF, habitat per uccelli e per qualche mulino a vento, ormai in disuso. Poco più a nord si estendono altre due importanti riserve naturali: quella del Monte Cofano e Dello Zingaro.
Monreale
Una delle più incredibili e affascinati costruzioni del medioevo italiano. Il Duomo di Monreale, capolavoro dell’architettura normanna, è la sintesi perfetta delle culture che hanno intriso la storia siciliana. L’elemento arabo, quello bizantino e quello romanico si fondono nell'elevazione verso l’alto, in un complesso che unisce chiesa e monastero.
Due massicce torri quadrate, sentinelle del portico settecentesco, accolgono il visitatore e il fedele. L’entrata in chiesa avviene attraverso spettacolari battenti bronzei, del XII secolo, decorati a formelle. L’interno esplode nella spettacolarità di mosaici a fondo d’oro che stupiscono, stordiscono, accecano non appena si volge lo sguardo verso l’alto. Al centro, un Cristo Pantocrator di chiara evocazione orientale, sulle navate scene dell’Antico e del Nuovo Testamento risalenti al XII-XIII secolo. Sulla destra del Duomo si apre il Chiostro, i cui archi ogivali sono sostenuti da 228 colonne gemelle.
Palermo
Impossibile offrire una visione d’insieme di Palermo. La città fenicia, romana, bizantina, araba e normanna è un intricato labirinto di voci, immagini e profumi da cui spiccano scorci e monumenti unici, attraverso i quali il turista attento riesce a cogliere l’essenza stessa di questa metropoli, per molti versi ancora paese. Tra le principali attrattive da non mancare in una visita della città il Palazzo dei Normanni e, soprattutto, la Cappella Palatina di Ruggero II; gli Appartamenti reali e l’Osservatorio astronomico. Sempre normanno, ma con evidenti influenze arabe, è la chiesa di S. Giovanni degli Eremiti.
Un sovrapporsi di stili e un deciso rimaneggiamento di fine Settecento, caratterizzano, invece, la Cattedrale, nel cui interno sono custodite le tombe imperiali e reali di epoca medioevale. Magnifiche decorazioni a stucco si possono ammirare negli oratori del Rosario di S. Domenico, di S. Cita e di S. Lorenzo. Gli amanti dello stile gotico apprezzeranno certamente la chiesa di S. Francesco e quella di S. Maria della Catena. Altri luoghi di culto degni di interesse artistico sono la Chiesa del Gesù; la Martorana, specialmente per il bellissimo campanile e gli splendidi mosaici dell’interno; e S. Cataldo.
Tra gli edifici civili meritano una citazione Palazzo Chiaramonte, che ricorda i fasti della potente famiglia feudale del XIV secolo, Palazzo Abatellis, attuale sede della Galleria Regionale della Sicilia, che custodisce notevolissimi dipinti di epoca rinascimentale. Chi avesse maggior tempo a disposizione può dedicare una mezza giornata alla visita del Museo Archeologico Regionale, tra i più importanti d’Italia.
Cefalù
Completiamo il nostro itinerario a Cefalù, sulla costa del Tirreno. Delle sue antiche origini rimangono poche tracce. Cefalù, infatti, si presenta agli occhi del turista come una città assolutamente normanna, dominata dalla rocca e impreziosita dall'elegante cattedrale. Corso Ruggero, la sua via più elegante, divide la città storica dalla piana che, eccessivamente urbanizzata, degrada verso il mare. Ad est del corso si sviluppa un dedalo di stradine che si aprono sulla piazza del duomo, dove si erge la maestosa mole della Cattedrale, circoscritta da due massicce torri quadrate che chiudono il poderoso portico. L’interno, a tre ampie navate, trova il suo centro prospettico nei mosaici dell’abside centrale.
Tornati alla luce del sole, meritano una sosta alcuni palazzi tardo barocchi, il Museo Mandralisca e il bastione di Macchiafava che si protende verso le acque del Tirreno. Sempre in riva al mare si possono osservare alcuni resti di possenti fortificazioni e un suggestivo lavatoio medioevale scavato nella roccia. La visione della città non può però dirsi completa se non attraverso una passeggiata (circa un’ora di cammino) sino alla sommità della Rocca, da cui si gode un panorama meraviglioso, fatto di contrasti cromatici dal giallo, al rosso, all'azzurro.
Approfondimento: Selinunte, la città degli dei
Con la sua felice posizione al centro del Mediterraneo, la Sicilia ha attirato, tra l'VIII e il VI secolo a.C., l'attenzione di popoli colonizzatori di varia cultura e provenienza. Ma è soprattutto alla colonizzazione greca che l'isola lega storia e destino attuale. Tra le città-colonie di quel tempo spicca oggi Selinunte, un lembo di antica Grecia che appare quasi come un miraggio in un tratto di costa sud-occidentale della Sicilia, accanto a un villaggio di pescatori (Marinella di Selinunte, frazione del comune di Castelvetrano, in provincia di Trapani).
La fondarono i greci della madre patria Megara Nisea, intorno alla metà del VII secolo, presso la foce del fiume Modione, l'antico Sélinos, da cui probabilmente deriva il nome dato alla colonia ma non senza la complicità del sélinon, la pianticella erbacea che cresceva spontaneamente nella vallata del Modione e che divenne l'emblema della città. La sua origine megarese sembra trovare conferma nelle numerose epigrafi trovate durante gli scavi, ricche di inflessioni dialettali megaresi.
Nella parte meridionale di un pianoro elevato a circa 30 metri a picco sul mare, dove sorgeva la città, fu costruita l'acropoli con la zona sacra, primo mattone della “città degli dei” ispirata al pantheon greco. I resti di questo capolavoro di pietra sopravvissuto alle guerre puniche e al logorio dei secoli, dominano oggi la parte centrale del Parco Archeologico di Selinunte, insieme alle rovine dei templi orientali (chiamati E, F e G), al Santuario della Malophòros e alle necropoli a nord della collina orientale, in contrada Buffa.
Il Parco Archeologico
“Selinunte […], enorme mucchio di colonne crollate, cadute, ora allineate e affiancate, come soldati morti, ora precipitate in maniera caotica. Tali rovine di templi giganteschi, le più vaste che esistano in Europa, riempiono un'intera pianura e ricoprono inoltre una collina, all'estremità del piano. Costeggiano la riva, una lunga riva di sabbia pallida ove sono arenate alcune barche da pesca, benché non si riesca a scoprire dove abitino i pescatori. L'informe ammasso di pietre può interessare, d'altronde, solamente gli archeologi e le anime poetiche, commosse da tutte le tracce del passato”.
Quella “lunga riva di sabbia pallida” che Guy de Maupassant descrive con enfasi nel suo Viaggio in Sicilia, è oggi uno dei tratti di costa più belli e incontaminati di tutta la provincia trapanese e lo è anche per l'eccezionalità della posizione in cui si trova, cioè a ridosso del Parco archeologico più grande d'Europa. Oggi, dunque, gli archeologi e le anime poetiche hanno ceduto il passo a flotte di turisti, soprattutto stranieri, che ogni anno giungono fin qui per compiere l'itinerario archeologico prima e godersi il limpido mare siciliano poi.
Si è detto come il nucleo originario dell'impianto archeologico fosse l'acropoli costruita a sud del pianoro di 30 metri. Oggi i templi che costituivano l'acropoli sono denominati con le lettere D, C, A ed O. Oltre le mura dell'acropoli, nella zona nord del pianoro detta della Manuzza, sorse qualche tempo dopo il centro urbano ai lati del quale si trovavano due aree sacre: quella orientale con i grandiosi templi di Selinunte (i suddetti templi E, F e G) e quella occidentale con i vari santuari, tra cui il più famoso e antico era quello consacrato alla Malophòros, la Demetra “portatrice di frutti”.
Per compiere il tragitto completo in tutta calma ci vuole un'intera giornata. Parecchi chilometri separano la zona orientale del parco – dove è collocato l'ingresso dei visitatori – da quella dell'acropoli, ma è disponibile un servizio di navetta interno che traghetta le anime poetiche da una zona all'altra dell'immensa area archeologica la quale, essendo circondata da un'aperta campagna semi-desertica, è alquanto soleggiata.
La collina orientale
L'ingresso dei visitatori introduce immediatamente in una grande spianata dove all'improvviso compare l'imponente sagoma a colonne di un tempio. E' l'area sacra della collina orientale, dove sorgeva l'antico porto, composta da tre templi oggi denominati rispettivamente E, F e G, disposti parallelamente in un'armonica unità architettonica lungo l'asse est-ovest. Dei templi F e G non rimangono che rovine per quanto altrettanto maestose del tempio meglio conservato, il tempio E, risalente al 460-450 a.C.
Una delle caratteristiche esclusive dei templi selinuntini è il fatto di essere ornati con sculture (metope), realizzate con materiali calcareniti e marmi. Il tempio E, il cui modello secondo gli studiosi oscilla tra Olimpia (Tempio di Zeus) e Atene (Partenone), sfoggia blocchi di calcare giallo che testimoniano l'uso sperimentale di questo tipo di copertura condotto nel VII secolo nelle colonie. Tra le sculture rinvenute all'interno del tempio, una testa femminile riferibile con buona probabilità alla statua di culto della dea Era in base alle metope figurate in un frammento scultoreo ritrovato all'interno dell'edificio e oggi collocato al Museo Archeologico di Palermo.
Tra la fila di colonne che disegna la geometrica spazialità del tempio, spunta in lontananza il mare; il suo colore azzurro che incontra quello del cielo fa capolino tra una colonna e l'altra ed è una scenografia naturale questa in grado di emozionare chiunque, artisti di un tempo e turisti di oggi. Infatti, furono proprio i templi e le rovine della collina orientale ad ispirare maggiormente studiosi e artisti, specie nel Settecento quando Selinunte divenne una tappa del Grand Tour, il viaggio di iniziazione culturale, intellettuale ed umanistica degli aristocratici d'Europa.
Le rovine degli altri due templi F e G lasciano trasparire la monumentalità di un'opera concepita nell'insieme simmetrico più che nell'individualità delle singole parti, secondo il bel noto concetto armonico della bellezza greca. Camminando tra le macerie si incontrano capitelli rovesciati, fusti e rocchi di colonne, blocchi di architrave la cui grandiosità lascia ben intravedere quella dell'intera costruzione.
Secondo gli studiosi il trittico della collina orientale sarebbe stato dedicato alla triade olimpica composta da Zeus, Era ed Atena, anche richiamandosi ai soggetti delle metope del tempio E. Nell'enorme ammasso di ruderi che contraddistingue in special modo il tempio G, fuoriesce una colonna nota come il “fuso della vecchia”. “Un cataclisma in atto, vivo e immoto insieme”, questa la bella definizione che lo scrittore Piovene diede nel suo Viaggio in Italia a quel che resta del tempio G.
L'Acropoli
Una lunga passeggiata nella campagna selinuntina con l'orizzonte segnato dalla linea del mare conduce dalla zona orientale a quella del pianoro dove sorse il primo nucleo della zona sacra: l'Acropoli, la “città degli dei”. E' questa l'area a ridosso del mare, la più spettacolare dal punto di vista paesaggistico proprio perché adagiata su uno dei tratti di costa più belli del litorale siciliano. Qui è più evidente l'intervento architettonico impresso durante le dominazioni successive, per cui all'originario impianto greco (databile dal VII al V secolo a.C.) si sovrappone uno strato punico del IV-III secolo. Ad immettere nell'area occupata dai primi due templi (O ed A) è una sorta di ingresso monumentale a forma di T.
Domina le rovine di quest'area sacra il paradigmatico tempio C, a nord-ovest del quale si trova il tempio D. L'apologia dell'acropoli è servita, con le sue proporzioni studiate al dettaglio e l'armonia visibile delle forme architettoniche. Il tempio C (580-560 a.C. circa), secondo gli studiosi dedicato ad Apollo, è l'emblema della grande stagione dei templi peripteri monumentali di Selinunte dotati di una considerevole compattezza volumetrica e di accentuata frontalità. L'imponente colonnato del tempio C con le sue 14 colonne sul lato nord, si erge in mezzo a un panorama di rovine fitto di capitelli e rocche di colonne, sullo sfondo del mare da un lato e della collina orientale dall'altro. Tra le metope ritrovate nel tempio C, quella raffigurante una quadriga con Apollo, Artemide e Latona, un altro trittico molto significativo del pantheon greco che compare prepotente nell'universo mitico dei Selinuntini.
Il Santuario della Malophòros
Che la dea della terra e della fecondità avesse un ruolo di rilievo nell'antica religiosità greca è testimoniato anche dal Santuario della Malòphoros, l'area sacra che comprendeva tra l'altro il tempio dedicato a Demetra, e che si trova ad ovest dell'acropoli, oltre il fiume Modione. Un'area irregolare di 50 per 60 metri, delimitata da un muro di cinta e racchiudente altari, edifici e un campo di stele.
Tra i templi più importanti all'interno di questa zona, quello di Demetra e quello di Zeus Meilìchios il cui tempio prostilo-distilo è caratterizzato dalla fusione di elementi dorici e ionici. Di tutto il Parco archeologico è questo Santuario ad aver consentito il maggior numero di ritrovamenti di varia natura, conservati oggi nel Museo Archeologico di Palermo: statuette e maschere votive, vasi corinzi e anche una serie di stele gemine, terminanti cioè con due teste nella parte superiore, una maschile e una femminile.
Una finestra sul Mediterraneo
Il Parco archeologico di Selinunte ha una sua magnificenza interna, frutto architettonico di una delle civiltà più progredite dell'uomo. Ma ad impreziosire il tutto è sicuramente la posizione che domina il mare. Quasi un rivestimento di poesia dato dall'armonica intesa di cielo, mare e sabbia color ocra a quel cataclisma di rude roccia che è il sito archeologico nel suo insieme, a voler riprendere la felice espressione di Piovene. Il litorale che si avvista dall'alto dell'area collinare del parco appartiene al piccolo villaggio di pescatori che ha nome Marinella di Selinunte, oggi un ameno luogo di villeggiatura dove ritemprarsi con i ritmi lenti della vita marinara.
Uno degli scorci più belli che si gode dall'estremità meridionale dell'acropoli è quello in corrispondenza della foce del fiume Modione: uno sposalizio cromatico di acque. E persino da quassù si riesce a respirare l'aria dei tipici borghi di mare del meridione d'Italia, con quelle filare di fichi d'India ad accompagnare lo sguardo nel suo precipitare nel fondo turchese del mare solcato dalle barche dei pescatori.
Alle spalle, i resti della “città degli dei”, e davanti la spianata azzurra del Mediterraneo, quello però dei libri di scuola, della storia da cui è nata la nostra stessa civiltà. Oggi Selinunte vive di mitologia, non senza amari scacchi della sorte, come quello di comparire spesso e volentieri nella convenzionale accoppiata con la “sorella minore” Segesta, tra l'altro sua storica rivale. La città siciliana meriterebbe forse una più attenta rivalorizzazione che può benissimo cominciare da questa superba accoppiata di mare e arte intuibile a prima vista dall'alto della collina sacra.
Con la sua felice posizione al centro del Mediterraneo, la Sicilia ha attirato, tra l'VIII e il VI secolo a.C., l'attenzione di popoli colonizzatori di varia cultura e provenienza. Ma è soprattutto alla colonizzazione greca che l'isola lega storia e destino attuale. Tra le città-colonie di quel tempo spicca oggi Selinunte, un lembo di antica Grecia che appare quasi come un miraggio in un tratto di costa sud-occidentale della Sicilia, accanto a un villaggio di pescatori (Marinella di Selinunte, frazione del comune di Castelvetrano, in provincia di Trapani).
La fondarono i greci della madre patria Megara Nisea, intorno alla metà del VII secolo, presso la foce del fiume Modione, l'antico Sélinos, da cui probabilmente deriva il nome dato alla colonia ma non senza la complicità del sélinon, la pianticella erbacea che cresceva spontaneamente nella vallata del Modione e che divenne l'emblema della città. La sua origine megarese sembra trovare conferma nelle numerose epigrafi trovate durante gli scavi, ricche di inflessioni dialettali megaresi.
Nella parte meridionale di un pianoro elevato a circa 30 metri a picco sul mare, dove sorgeva la città, fu costruita l'acropoli con la zona sacra, primo mattone della “città degli dei” ispirata al pantheon greco. I resti di questo capolavoro di pietra sopravvissuto alle guerre puniche e al logorio dei secoli, dominano oggi la parte centrale del Parco Archeologico di Selinunte, insieme alle rovine dei templi orientali (chiamati E, F e G), al Santuario della Malophòros e alle necropoli a nord della collina orientale, in contrada Buffa.
Il Parco Archeologico
“Selinunte […], enorme mucchio di colonne crollate, cadute, ora allineate e affiancate, come soldati morti, ora precipitate in maniera caotica. Tali rovine di templi giganteschi, le più vaste che esistano in Europa, riempiono un'intera pianura e ricoprono inoltre una collina, all'estremità del piano. Costeggiano la riva, una lunga riva di sabbia pallida ove sono arenate alcune barche da pesca, benché non si riesca a scoprire dove abitino i pescatori. L'informe ammasso di pietre può interessare, d'altronde, solamente gli archeologi e le anime poetiche, commosse da tutte le tracce del passato”.
Quella “lunga riva di sabbia pallida” che Guy de Maupassant descrive con enfasi nel suo Viaggio in Sicilia, è oggi uno dei tratti di costa più belli e incontaminati di tutta la provincia trapanese e lo è anche per l'eccezionalità della posizione in cui si trova, cioè a ridosso del Parco archeologico più grande d'Europa. Oggi, dunque, gli archeologi e le anime poetiche hanno ceduto il passo a flotte di turisti, soprattutto stranieri, che ogni anno giungono fin qui per compiere l'itinerario archeologico prima e godersi il limpido mare siciliano poi.
Si è detto come il nucleo originario dell'impianto archeologico fosse l'acropoli costruita a sud del pianoro di 30 metri. Oggi i templi che costituivano l'acropoli sono denominati con le lettere D, C, A ed O. Oltre le mura dell'acropoli, nella zona nord del pianoro detta della Manuzza, sorse qualche tempo dopo il centro urbano ai lati del quale si trovavano due aree sacre: quella orientale con i grandiosi templi di Selinunte (i suddetti templi E, F e G) e quella occidentale con i vari santuari, tra cui il più famoso e antico era quello consacrato alla Malophòros, la Demetra “portatrice di frutti”.
Per compiere il tragitto completo in tutta calma ci vuole un'intera giornata. Parecchi chilometri separano la zona orientale del parco – dove è collocato l'ingresso dei visitatori – da quella dell'acropoli, ma è disponibile un servizio di navetta interno che traghetta le anime poetiche da una zona all'altra dell'immensa area archeologica la quale, essendo circondata da un'aperta campagna semi-desertica, è alquanto soleggiata.
La collina orientale
L'ingresso dei visitatori introduce immediatamente in una grande spianata dove all'improvviso compare l'imponente sagoma a colonne di un tempio. E' l'area sacra della collina orientale, dove sorgeva l'antico porto, composta da tre templi oggi denominati rispettivamente E, F e G, disposti parallelamente in un'armonica unità architettonica lungo l'asse est-ovest. Dei templi F e G non rimangono che rovine per quanto altrettanto maestose del tempio meglio conservato, il tempio E, risalente al 460-450 a.C.
Una delle caratteristiche esclusive dei templi selinuntini è il fatto di essere ornati con sculture (metope), realizzate con materiali calcareniti e marmi. Il tempio E, il cui modello secondo gli studiosi oscilla tra Olimpia (Tempio di Zeus) e Atene (Partenone), sfoggia blocchi di calcare giallo che testimoniano l'uso sperimentale di questo tipo di copertura condotto nel VII secolo nelle colonie. Tra le sculture rinvenute all'interno del tempio, una testa femminile riferibile con buona probabilità alla statua di culto della dea Era in base alle metope figurate in un frammento scultoreo ritrovato all'interno dell'edificio e oggi collocato al Museo Archeologico di Palermo.
Tra la fila di colonne che disegna la geometrica spazialità del tempio, spunta in lontananza il mare; il suo colore azzurro che incontra quello del cielo fa capolino tra una colonna e l'altra ed è una scenografia naturale questa in grado di emozionare chiunque, artisti di un tempo e turisti di oggi. Infatti, furono proprio i templi e le rovine della collina orientale ad ispirare maggiormente studiosi e artisti, specie nel Settecento quando Selinunte divenne una tappa del Grand Tour, il viaggio di iniziazione culturale, intellettuale ed umanistica degli aristocratici d'Europa.
Le rovine degli altri due templi F e G lasciano trasparire la monumentalità di un'opera concepita nell'insieme simmetrico più che nell'individualità delle singole parti, secondo il bel noto concetto armonico della bellezza greca. Camminando tra le macerie si incontrano capitelli rovesciati, fusti e rocchi di colonne, blocchi di architrave la cui grandiosità lascia ben intravedere quella dell'intera costruzione.
Secondo gli studiosi il trittico della collina orientale sarebbe stato dedicato alla triade olimpica composta da Zeus, Era ed Atena, anche richiamandosi ai soggetti delle metope del tempio E. Nell'enorme ammasso di ruderi che contraddistingue in special modo il tempio G, fuoriesce una colonna nota come il “fuso della vecchia”. “Un cataclisma in atto, vivo e immoto insieme”, questa la bella definizione che lo scrittore Piovene diede nel suo Viaggio in Italia a quel che resta del tempio G.
L'Acropoli
Una lunga passeggiata nella campagna selinuntina con l'orizzonte segnato dalla linea del mare conduce dalla zona orientale a quella del pianoro dove sorse il primo nucleo della zona sacra: l'Acropoli, la “città degli dei”. E' questa l'area a ridosso del mare, la più spettacolare dal punto di vista paesaggistico proprio perché adagiata su uno dei tratti di costa più belli del litorale siciliano. Qui è più evidente l'intervento architettonico impresso durante le dominazioni successive, per cui all'originario impianto greco (databile dal VII al V secolo a.C.) si sovrappone uno strato punico del IV-III secolo. Ad immettere nell'area occupata dai primi due templi (O ed A) è una sorta di ingresso monumentale a forma di T.
Domina le rovine di quest'area sacra il paradigmatico tempio C, a nord-ovest del quale si trova il tempio D. L'apologia dell'acropoli è servita, con le sue proporzioni studiate al dettaglio e l'armonia visibile delle forme architettoniche. Il tempio C (580-560 a.C. circa), secondo gli studiosi dedicato ad Apollo, è l'emblema della grande stagione dei templi peripteri monumentali di Selinunte dotati di una considerevole compattezza volumetrica e di accentuata frontalità. L'imponente colonnato del tempio C con le sue 14 colonne sul lato nord, si erge in mezzo a un panorama di rovine fitto di capitelli e rocche di colonne, sullo sfondo del mare da un lato e della collina orientale dall'altro. Tra le metope ritrovate nel tempio C, quella raffigurante una quadriga con Apollo, Artemide e Latona, un altro trittico molto significativo del pantheon greco che compare prepotente nell'universo mitico dei Selinuntini.
Il Santuario della Malophòros
Che la dea della terra e della fecondità avesse un ruolo di rilievo nell'antica religiosità greca è testimoniato anche dal Santuario della Malòphoros, l'area sacra che comprendeva tra l'altro il tempio dedicato a Demetra, e che si trova ad ovest dell'acropoli, oltre il fiume Modione. Un'area irregolare di 50 per 60 metri, delimitata da un muro di cinta e racchiudente altari, edifici e un campo di stele.
Tra i templi più importanti all'interno di questa zona, quello di Demetra e quello di Zeus Meilìchios il cui tempio prostilo-distilo è caratterizzato dalla fusione di elementi dorici e ionici. Di tutto il Parco archeologico è questo Santuario ad aver consentito il maggior numero di ritrovamenti di varia natura, conservati oggi nel Museo Archeologico di Palermo: statuette e maschere votive, vasi corinzi e anche una serie di stele gemine, terminanti cioè con due teste nella parte superiore, una maschile e una femminile.
Una finestra sul Mediterraneo
Il Parco archeologico di Selinunte ha una sua magnificenza interna, frutto architettonico di una delle civiltà più progredite dell'uomo. Ma ad impreziosire il tutto è sicuramente la posizione che domina il mare. Quasi un rivestimento di poesia dato dall'armonica intesa di cielo, mare e sabbia color ocra a quel cataclisma di rude roccia che è il sito archeologico nel suo insieme, a voler riprendere la felice espressione di Piovene. Il litorale che si avvista dall'alto dell'area collinare del parco appartiene al piccolo villaggio di pescatori che ha nome Marinella di Selinunte, oggi un ameno luogo di villeggiatura dove ritemprarsi con i ritmi lenti della vita marinara.
Uno degli scorci più belli che si gode dall'estremità meridionale dell'acropoli è quello in corrispondenza della foce del fiume Modione: uno sposalizio cromatico di acque. E persino da quassù si riesce a respirare l'aria dei tipici borghi di mare del meridione d'Italia, con quelle filare di fichi d'India ad accompagnare lo sguardo nel suo precipitare nel fondo turchese del mare solcato dalle barche dei pescatori.
Alle spalle, i resti della “città degli dei”, e davanti la spianata azzurra del Mediterraneo, quello però dei libri di scuola, della storia da cui è nata la nostra stessa civiltà. Oggi Selinunte vive di mitologia, non senza amari scacchi della sorte, come quello di comparire spesso e volentieri nella convenzionale accoppiata con la “sorella minore” Segesta, tra l'altro sua storica rivale. La città siciliana meriterebbe forse una più attenta rivalorizzazione che può benissimo cominciare da questa superba accoppiata di mare e arte intuibile a prima vista dall'alto della collina sacra.