Sudan: l'antica Nubia
In principio era la Nubia, il mitico regno dei Faraoni Neri, dal passato glorioso intrecciato a quello degli antichi egizi, dei quali sono rimasti cultura ed architettura. Oggi il territorio corrisponde al Sudan, tra le nazioni più estese dell’Africa sahariana tant'è che occupa l’estrema porzione orientale del grande deserto a sud dell’Egitto ma anche tra le più martoriate. Fondamentalismi e interessi petroliferi sono stati alla base di una guerra civile che ha prodotto l'immane tragedia umana del Darfur, seguita da una fragile pace minata da continui conflitti fino al recente processo di secessione e indipendenza politica del Sud Sudan.
Testo di Anna Maria Arnesano, foto di Giulio Badini
Il Sudan, in particolare la regione a nord che va dalla capitale Khartoum fino al lago Nasser (al confine con l'Egitto), conosciuta con il nome di Nubia fin dall’antichità, è una terra che presenta tutte le caratteristiche ambientali del deserto, con ampie distese di dune, montagne riarse solcate da un rete di paleofiumi, pianure sassose disperse a perdita d’occhio, pastori nomadi con le loro mandrie e carovane di dromedari, sparute oasi di palme e, in mezzo, il corso maestoso del Nilo, fonte primaria di vita. Ed è proprio grazie al grande fiume - anello di congiunzione tra il Mediterraneo e l’Africa nera equatoriale – che a partire da 5 mila anni fa si sono sviluppate alcune civiltà.
Gli stretti contatti con l’Egitto dei faraoni, la dominazione e colonizzazione culturale e militare susseguitasi in diversi periodi - basti pensare a quel secolo di dominio all’epoca dei faraoni neri - continuano a rifulgere anche quando la civiltà egizia classica era già decaduta da un pezzo. Lungo il Nilo e nelle sue immediate vicinanze, nella regione della grande ansa del fiume e dei resti di città fortificate, templi affioranti dalla sabbia, piccole piramidi aguzze e tombe ipogee decorate, meta di rari visitatori, testimoniano un fiorente passato di cui sappiamo ancora poco. Infatti l’archeologia in Sudan è appena agli albori, anche se gli studiosi la considerano una delle più ricche e interessanti del continente. Colpa della concorrenza esercitata dai ben più famosi monumenti del vicino Egitto, di un paese arretrato e privo di strutture turistiche, di scarsa informazione. Ma anche una meta capace di regalare notevoli emozioni ai visitatori curiosi e attenti che vorranno scoprirlo.
Il viaggio inizia da Khartoum con l’imprescindibile visita al Museo Archeologico, dove si possono ammirare tre interi templi salvati dalle sponde del Nilo e recuperati quando venne creato il lago Nasser, per poi catapultarsi, dopo pochi chilometri dalla città, in pieno deserto, in direzione nord, costeggiando le straordinarie formazioni granitiche della sesta Cataratta, per raggiungere il sito archeologico di Naga, il meglio conservato della civiltà meroitica. Un piccolo chiosco e due templi (uno dedicato al dio leone Apedemak) attraggono per la raffinata bellezza delle decorazioni a rilievo. Nella vicina Musawwarat si trova il sito più sorprendente ed enigmatico della Nubia: il Grande Recinto. Non si sa ancora molto sulle varie costruzioni, sugli ampi cortili e sul tempio costruito nel I sec. d.C.; si tratta forse di un tempio dedicato al dio elefante, dato che il pachiderma è raffigurato ovunque su colonne e pareti, oppure, come qualcuno sostiene, che fosse un luogo di addestramento. Le ipotesi sarebbero tante ma bisognerà aspettare fino a quando gli archeologi non saranno in grado di fornire delle risposte certe.
Si prosegue quindi per Meroe, quella che un tempo fu la città reale situata a tre chilometri dal Nilo, sulla cui collina ricoperta parzialmente di sabbia gialla svettano le 20 piramidi della necropoli reale, alcune delle quali ancora in ottimo stato di conservazione, oltre ad altri importanti resti archeologici come il tempio di Ammone, le terme e spettacolari bassorilievi. A differenza di quelle egizie, al cui interno si trovava la tomba del faraone, le piramidi nubiane sono molto più piccole, più aguzze e snelle e raggruppate una accanto all’altra. In pratica più che da tomba fungevano da cippo funerario, in quanto la camera sepolcrale si trovava non all’interno ma sotto, con accesso da uno specifico condotto inclinato situato su un lato con tanto di apposito portale. E spesso re e regine venivano sepolti con ampio seguito di schiavi, sacrificati o murati vivi per servire i loro signori anche nell’aldilà.
Il viaggio continua verso nord fino alla cittadina di Atbara, dove si attraversa il Nilo. Questo costituisce uno dei momenti più suggestivi di tutto il percorso. L’attraversamento del fiume avviene infatti con i ponton, sgangheratissimi traghetti di ferro che dalle prime luci dell’alba e fino al tramonto fanno la spola da una riva all’altra. Non hanno orari precisi, quindi l’attesa può diventare anche lunga, ma rappresentando gli unici mezzi di comunicazione tra le due sponde (tra Khartoum e il confine egiziano non esistono ponti sul Nilo), risultano sempre affollatissimi da carretti, camion, pick-up e contadini carichi di ogni genere di mercanzie. Un intrigante spaccato di varia umanità.
Una volta approdati inizia l’attraversamento del vasto deserto del Bayuda (che in sudanese significa bianco), sui passi all’incontrario dei faraoni neri che nel IV sec. a.C. trasferirono la capitale del regno da Napata a Meroe. Terra di nomadi kababish e bisharin, il Bayuda è un alternarsi di ampie distese di sabbia a pianure di sassi circondate da aspre montagne nere e a wadi asciutti da tempo immemore, dove cresce una stentata vegetazione. Qui si incontrano carovane di cammelli dirette ai rari pozzi e nomadi che vivono in estrema indigenza ma anche con grande dignità in semplici capanne realizzate con rami intrecciati. La gente è cordiale ed ospitale, forse perché è raro incontrare stranieri e turisti. Si attraversa quindi nuovamente il Nilo, che intanto ha percorso la sua grande ansa, per raggiungere la cittadina di Karima e la solitaria montagna sacra del Jebel Barkal, alta soltanto 80 metri di pareti a picco ma considerata l’Olimpo degli antichi nubiani per più di mille anni.
Il Jebel sta ad indicare che si è entrati nel cuore dell’antico regno di Napata: ai suoi piedi infatti, oltre alle rovine del grande tempio di Ammone, si trovano ancora numerosi arieti in granito, scolpiti con grande maestria che dovevano, probabilmente, fiancheggiare un lungo viale che portava fino all’imbarcadero del Nilo, mentre poco distanti si innalzano alcune piramidi conservate in ottimo stato in cui venivano sepolti i re nubiani. Per ammirarlo in tutta la sua interezza è necessario scalarlo fino alla sommità e una volta arrivati lo spettacolo che offre è davvero mozzafiato: le acque del Nilo che scorrono lente e silenziose disegnano un affascinante serpente, quindi un insieme di palmeti verdi come smeraldo dove si concentra la vita, poi il deserto: un dipinto da non perdere! Spostandosi a sud si arriva a El Kurru, un piccolo villaggio dove si trova una delle necropoli dell’antica capitale Napata. Le due tombe scavate nella roccia sottostanti a piramidi semi crollate, raffigurano con decorazioni bellissime, il faraone, alcune divinità e iscrizioni geroglifiche policrome.
Si abbandona quindi il Nilo per dirigersi ad ovest verso il deserto nubiano, completamente differente da quello del Bayuda (nonostante sia separato solo dalla valle del Nilo), per arrivare a Old Dongola arroccata su una falesia rocciosa che domina il fiume da cinquanta metri d’altezza. Qui si trovano le suggestive rovine di due templi cristiani costituiti da colonne, archi, capitelli decorati con croci copte risalenti all’XI°- XII° secolo d.C. In questa regione si sviluppò un piccolo stato cristiano (Makuria) che contrastò a lungo l’invasione islamica. L’itinerario prosegue spingendosi verso un deserto di splendide dune di sabbie rosa ed ocra fino ad arrivare in villaggi le cui case, costruite in argilla, sono basse e bianche. Ma ciò che rende spettacolari queste abitazioni sono senza dubbio i portali d’ingresso dalle forme più svariate, decorati con colori sgargianti e disegni geometrici.
Tuttavia quello che colpisce maggiormente il visitatore durante l’attraversata di questo deserto sono i pozzi che richiamano alla mente scene bibliche straordinarie. Qui è facile incontrare gruppi di nomadi con le loro bestie all’abbeverata, donne bellissime, bambini e vecchi dal volto scavato dal tempo. Persone appartenenti a diverse tribù facilmente distinguibili l’una dall’altra da una serie di tatuaggi o scarificazioni sulle gote o sulla fronte, si incontrano intorno ai pozzi, dove si svolge, seppur per un solo giorno e a periodi alterni, la vita e dove si intrecciano rapporti sociali. Tutti indistintamente dimostrano un marcato senso dell’ospitalità, offrendo quello che hanno a disposizione, nonostante la povertà evidente e tangibile.
Il viaggio prosegue e, man mano, si lascia il deserto fino ad arrivare a Omdurman, l’antica capitale del Sudan dove si respira un’atmosfera d’altri tempi e dove si trovano la tomba del Madhi, il capo indigeno capace di opporre una strenua resistenza agli inglesi, il museo a lui dedicato e il grande souk, quest’ultimo punto d’incontro ancora oggi come allora di molte civiltà.
Informazioni
Gli stretti contatti con l’Egitto dei faraoni, la dominazione e colonizzazione culturale e militare susseguitasi in diversi periodi - basti pensare a quel secolo di dominio all’epoca dei faraoni neri - continuano a rifulgere anche quando la civiltà egizia classica era già decaduta da un pezzo. Lungo il Nilo e nelle sue immediate vicinanze, nella regione della grande ansa del fiume e dei resti di città fortificate, templi affioranti dalla sabbia, piccole piramidi aguzze e tombe ipogee decorate, meta di rari visitatori, testimoniano un fiorente passato di cui sappiamo ancora poco. Infatti l’archeologia in Sudan è appena agli albori, anche se gli studiosi la considerano una delle più ricche e interessanti del continente. Colpa della concorrenza esercitata dai ben più famosi monumenti del vicino Egitto, di un paese arretrato e privo di strutture turistiche, di scarsa informazione. Ma anche una meta capace di regalare notevoli emozioni ai visitatori curiosi e attenti che vorranno scoprirlo.
Il viaggio inizia da Khartoum con l’imprescindibile visita al Museo Archeologico, dove si possono ammirare tre interi templi salvati dalle sponde del Nilo e recuperati quando venne creato il lago Nasser, per poi catapultarsi, dopo pochi chilometri dalla città, in pieno deserto, in direzione nord, costeggiando le straordinarie formazioni granitiche della sesta Cataratta, per raggiungere il sito archeologico di Naga, il meglio conservato della civiltà meroitica. Un piccolo chiosco e due templi (uno dedicato al dio leone Apedemak) attraggono per la raffinata bellezza delle decorazioni a rilievo. Nella vicina Musawwarat si trova il sito più sorprendente ed enigmatico della Nubia: il Grande Recinto. Non si sa ancora molto sulle varie costruzioni, sugli ampi cortili e sul tempio costruito nel I sec. d.C.; si tratta forse di un tempio dedicato al dio elefante, dato che il pachiderma è raffigurato ovunque su colonne e pareti, oppure, come qualcuno sostiene, che fosse un luogo di addestramento. Le ipotesi sarebbero tante ma bisognerà aspettare fino a quando gli archeologi non saranno in grado di fornire delle risposte certe.
Si prosegue quindi per Meroe, quella che un tempo fu la città reale situata a tre chilometri dal Nilo, sulla cui collina ricoperta parzialmente di sabbia gialla svettano le 20 piramidi della necropoli reale, alcune delle quali ancora in ottimo stato di conservazione, oltre ad altri importanti resti archeologici come il tempio di Ammone, le terme e spettacolari bassorilievi. A differenza di quelle egizie, al cui interno si trovava la tomba del faraone, le piramidi nubiane sono molto più piccole, più aguzze e snelle e raggruppate una accanto all’altra. In pratica più che da tomba fungevano da cippo funerario, in quanto la camera sepolcrale si trovava non all’interno ma sotto, con accesso da uno specifico condotto inclinato situato su un lato con tanto di apposito portale. E spesso re e regine venivano sepolti con ampio seguito di schiavi, sacrificati o murati vivi per servire i loro signori anche nell’aldilà.
Il viaggio continua verso nord fino alla cittadina di Atbara, dove si attraversa il Nilo. Questo costituisce uno dei momenti più suggestivi di tutto il percorso. L’attraversamento del fiume avviene infatti con i ponton, sgangheratissimi traghetti di ferro che dalle prime luci dell’alba e fino al tramonto fanno la spola da una riva all’altra. Non hanno orari precisi, quindi l’attesa può diventare anche lunga, ma rappresentando gli unici mezzi di comunicazione tra le due sponde (tra Khartoum e il confine egiziano non esistono ponti sul Nilo), risultano sempre affollatissimi da carretti, camion, pick-up e contadini carichi di ogni genere di mercanzie. Un intrigante spaccato di varia umanità.
Una volta approdati inizia l’attraversamento del vasto deserto del Bayuda (che in sudanese significa bianco), sui passi all’incontrario dei faraoni neri che nel IV sec. a.C. trasferirono la capitale del regno da Napata a Meroe. Terra di nomadi kababish e bisharin, il Bayuda è un alternarsi di ampie distese di sabbia a pianure di sassi circondate da aspre montagne nere e a wadi asciutti da tempo immemore, dove cresce una stentata vegetazione. Qui si incontrano carovane di cammelli dirette ai rari pozzi e nomadi che vivono in estrema indigenza ma anche con grande dignità in semplici capanne realizzate con rami intrecciati. La gente è cordiale ed ospitale, forse perché è raro incontrare stranieri e turisti. Si attraversa quindi nuovamente il Nilo, che intanto ha percorso la sua grande ansa, per raggiungere la cittadina di Karima e la solitaria montagna sacra del Jebel Barkal, alta soltanto 80 metri di pareti a picco ma considerata l’Olimpo degli antichi nubiani per più di mille anni.
Il Jebel sta ad indicare che si è entrati nel cuore dell’antico regno di Napata: ai suoi piedi infatti, oltre alle rovine del grande tempio di Ammone, si trovano ancora numerosi arieti in granito, scolpiti con grande maestria che dovevano, probabilmente, fiancheggiare un lungo viale che portava fino all’imbarcadero del Nilo, mentre poco distanti si innalzano alcune piramidi conservate in ottimo stato in cui venivano sepolti i re nubiani. Per ammirarlo in tutta la sua interezza è necessario scalarlo fino alla sommità e una volta arrivati lo spettacolo che offre è davvero mozzafiato: le acque del Nilo che scorrono lente e silenziose disegnano un affascinante serpente, quindi un insieme di palmeti verdi come smeraldo dove si concentra la vita, poi il deserto: un dipinto da non perdere! Spostandosi a sud si arriva a El Kurru, un piccolo villaggio dove si trova una delle necropoli dell’antica capitale Napata. Le due tombe scavate nella roccia sottostanti a piramidi semi crollate, raffigurano con decorazioni bellissime, il faraone, alcune divinità e iscrizioni geroglifiche policrome.
Si abbandona quindi il Nilo per dirigersi ad ovest verso il deserto nubiano, completamente differente da quello del Bayuda (nonostante sia separato solo dalla valle del Nilo), per arrivare a Old Dongola arroccata su una falesia rocciosa che domina il fiume da cinquanta metri d’altezza. Qui si trovano le suggestive rovine di due templi cristiani costituiti da colonne, archi, capitelli decorati con croci copte risalenti all’XI°- XII° secolo d.C. In questa regione si sviluppò un piccolo stato cristiano (Makuria) che contrastò a lungo l’invasione islamica. L’itinerario prosegue spingendosi verso un deserto di splendide dune di sabbie rosa ed ocra fino ad arrivare in villaggi le cui case, costruite in argilla, sono basse e bianche. Ma ciò che rende spettacolari queste abitazioni sono senza dubbio i portali d’ingresso dalle forme più svariate, decorati con colori sgargianti e disegni geometrici.
Tuttavia quello che colpisce maggiormente il visitatore durante l’attraversata di questo deserto sono i pozzi che richiamano alla mente scene bibliche straordinarie. Qui è facile incontrare gruppi di nomadi con le loro bestie all’abbeverata, donne bellissime, bambini e vecchi dal volto scavato dal tempo. Persone appartenenti a diverse tribù facilmente distinguibili l’una dall’altra da una serie di tatuaggi o scarificazioni sulle gote o sulla fronte, si incontrano intorno ai pozzi, dove si svolge, seppur per un solo giorno e a periodi alterni, la vita e dove si intrecciano rapporti sociali. Tutti indistintamente dimostrano un marcato senso dell’ospitalità, offrendo quello che hanno a disposizione, nonostante la povertà evidente e tangibile.
Il viaggio prosegue e, man mano, si lascia il deserto fino ad arrivare a Omdurman, l’antica capitale del Sudan dove si respira un’atmosfera d’altri tempi e dove si trovano la tomba del Madhi, il capo indigeno capace di opporre una strenua resistenza agli inglesi, il museo a lui dedicato e il grande souk, quest’ultimo punto d’incontro ancora oggi come allora di molte civiltà.
Informazioni
- Info generali e sicurezza. Viaggiare Sicuri
- Formalità burocratiche: è necessario il passaporto con validità di almeno 6 mesi dalla data di partenza, nessun visto o timbro di Israele, due fototessere. E’ richiesto il visto consolare, per l’ottenimento del visto sono necessari circa 20 giorni. Proibita l’importazione di bevande alcoliche.
- Clima: nelle regioni sahariane il clima è caldo e secco con notevole escursione termica tra giorno e notte (anche 20 gradi di differenza). In inverno le medie sono di 25°-30° di giorno e 7°-8° di minima con punte che possono arrivare anche a 2°-3° gradi in dicembre/gennaio. Nei mesi autunnali e primaverili, le temperature diurne oscillano attorno ai 30°-35° e quelle notturne da 15° a 20°.