India: la città imperiale di Agra
Fa parte del cosiddetto triangolo d'oro Delhi - Agra - Jaipur, ma più che il giallo lucente del prezioso metallo è il candore marmoreo accecante ciò che meglio definisce e ricorda la città di Agra, sede di quella Meraviglia del Mondo che ha nome Taj Mahal. Solo dopo aver oltrepassato l'arco che introduce davanti a una coreografia di proporzioni e geometrie fuori dal comune, la sonorità dell'appellativo “sogno in marmo” attribuito al Taj Mahal diventa per ciascuno una esperienza tangibile. Letteralmente, si attraversano secoli di splendore ritrovandone la luce ovunque si volga lo sguardo, educandolo ad un isolamento forzato vista la sempre intensa frequenza di visitatori che fluiscono alle porte di questo sogno.
Testo e foto a cura della redazione
Il Taj Mahal
La storia del “monumento all'amore” per antonomasia è forse nota a tutti. Fu fatto costruire dal quinto imperatore mogul Shah Jahan in memoria della moglie Arjumand Bano Begum, chiamata in seguito Mumtaz Mahal (la “Signora del Taj” e, in persiano, “la luce del Palazzo”), per esaudire una richiesta che ella poco prima di morire dando alla luce il 14 figlio, rivolse all'amato come suo ultimo desiderio: che fosse eretto un monumento di incomparabile bellezza sopra la sua tomba, a testimonianza della grandezza del loro insuperabile amore.
Fu così che, dopo un infaticabile lavoro iniziato nel 1631 e durato 22 anni, l'India ricevette il suo dono più grandioso il cui nome evoca vicende terrene strappate alla ruota del tempo e immortalate per sempre nel regno delle immutabili realtà, tanto care in questa terra dove il sacro è parte integrante del quotidiano. Per sempre, appunto, “taj mahal”.
Difficile, del resto, immaginarne una sorte diversa dalla celebrità, se solo si presta attenzione ai dettagli di questo capolavoro di grazia e delizia architettonica. Il posto, innanzi tutto. Fu scelto l'argine destro del fiume Yamuna, precisamente l'angolo nord-ovest del giardino sulla riva del fiume. E poi, gli ideatori del progetto: si presentarono davanti all'imperatore i migliori architetti del mondo, naturalmente. Tra tutti, il prescelto fu un persiano, Ustad-Isa-Afandi, il Demiurgo del Taj.
Passando ai materiali, è il marmo bianco il protagonista della costruzione, come principio alchemico superiore che eleva qualsiasi cosa al di sopra della media: non un marmo qualsiasi, bensì uno di qualità superiore fatto pervenire da Makrana, nel distretto del Naguar in Rajasthan. Il marmo giallo e quello nero furono portati rispettivamente dalle località di Narbads e Charkon. Tra gli altri materiali, spicca la pietra rossa proveniente invece da Dholpur e Fatehpur Sikri. Vennero utilizzate anche le varie pietre preziose, oro e argento, che arrivavano in dono all'imperatore dai vari re e capi delle regioni. Oltre 1.000 elefanti vennero impiegati per il trasporto delle materie prime prelevate da terre lontane (oltre il marmo bianco dal Rajasthan, il diaspro dal Punjab, la giada e il cristallo dalla Cina, i turchesi dal Tibet, i lapislazzuli dall'Afghanistan, gli zaffiri dallo Sri Lanka e la corniola dall'Arabia) e – altro numero eccezionale – la costruzione vide coinvolte più di 22 mila persone.
Dopo l'erezione del blocco principale furono creati gli edifici circostanti e il giardino. Ulteriori anni ci vollero per l'edificazione dell'entrata con il cancello riccamente istoriato e per la Moschea. Si narra, e non è da ritenere solo una coincidenza, che le 22 cupole sulla sommità del cancello d'entrata rappresentino proprio i 22 anni durante i quali il capolavoro prese forma. Il cancello a sud si affaccia sul moderno Taj Ganj (anticamente noto come Mumtazabad) ed è concepito solo per i pedoni; sul lato destro di questo cancello si trova una tomba di pietra rossa, circondata da cortili e sormontata da una cupola. Si dice che qui vi sia sepolta una delle dame di compagnia di Mumtaz Mahal e, per tal motivo, la costruzione è chiamata la tomba della damigella d'onore.
Il cancello orientale si affaccia verso Fatehabad e, anche qui, in prossimità del cancello, spicca una tomba a cupola eretta su una elevata piattaforma. Si tratta in questo caso della tomba costruita in memoria di un'altra moglie di Shah Jahan, chiamata Sirhindi Begum, da cui il nome del cancello noto come “Sirhi Darwaza”: il monumento principale si compone di 8 lati, ha 24 archi, un grosso salone ed una veranda.
L'entrata principale del Taj Mahal è quella del monumentale cancello ad ovest, che si affaccia verso Agra. Ad introdurre il passaggio nel sogno di marmo, è un edificio esterno di pietra di sabbia rossa (il Fatehpuri Maszid), costruito in memoria di un'altra moglie dell'imperatore, Fatehpuri Begum. Dopo aver oltrepassato il cancello ed aver assorbito in un colpo d'occhio lo splendore del miraggio marmoreo che domina la prospettiva, si può notare sulla sinistra la bella tomba lastricata in marmo di Situnu-Nisa-Khanam, la dama di compagnia prediletta di Mumtaz Mahal, nonché istitutrice di Jahan Ara Begum, l'amatissima figlia di Shah Jahan che, dopo la morte dell'imperatrice, condivise con il padre molti momenti di solitudine.
L'ingresso vero e proprio nel Taj – introdotto da un cammino quasi iniziatico che costeggia giardini e specchi d'acqua collegati tra loro da armonie che richiamano istintivamente relazioni numeriche di mondi celesti – è una sala d'ingresso ottagonale circondata da piccole stanze su ambedue i lati con bellissimi cancelli decorati. Il portone è quasi un capolavoro a sé di arte d'intarsio nel marmo bianco. L'acqua che scorre nei giardini, tra fontane e ruscelli zampillanti, fu tratta dal fiume Jamuna mediante un complesso lavoro di trazione idraulica in cui venne utilizzata la forza motrice dei cammelli.
Sotto la cupola principale, all'interno del nucleo centrale del Taj Mahal, si trovano le tombe dei due coniugi, finalmente riuniti dopo la morte in un'altra vita. Sopra la tomba di Mumtaz Mahal viene esposta ogni venerdì e ad ogni anniversario della sua morte, una copertura di fili di perla dall'inqualificabile valore, un dettaglio in più di quell'insieme altamente spettacolare che fonde architettura indiana e persiana degno di una delle sette Meraviglie del Mondo qual è il Taj Mahal, senza riserve.
Tra le tante prodezze del marmo bianco, ce n'è una che fa del Taj un vero prodigio da contemplazione: l'assorbimento dei colori e di qualsiasi sfumatura del cielo. Così, ogni tinta che la volta celeste decide di assimilare, diventa un'elegia cromatica nella sagoma intarsiata del Taj Mahal: dalla vaghezza dell'alba all'abbagliante folgore bianca del mezzogiorno, al fulgido splendore della luce lunare quando la cupola sottile si staglia verso le stelle come una perla grigia. Eppure, nessuno di questi effetti può eguagliare quei fugaci momenti in cui, dopo il calar del sole, il complesso assume una crepuscolare tinta rosa pallido, quasi un senso di pudore di fronte a tanta magniloquenza di luce. Un'immagine che, una volta sfiorata con lo sguardo a testa in su, rimane di nome e di fatto “per sempre”.
Benché la fama del Taj Mahal tenda in parte ad occultarne i fasti, fanno parte del patrimonio artistico della città imperiale Agra, risalente soprattutto al periodo della dinastia Mughal (1556-1707), anche l'Agra Fort, tra l'altro già visibile dallo stesso Taj, e la tomba Itmad-Ud-Daula, fatta costruire dall'imperatrice Noor Jahan in memoria di suo padre Mirza Ghiyas Beg.
Il Forte di Agra
L'Agra Fort, altrimenti detto il “Re dei Palazzi” o il “Palazzo Rosso”, risale al tempo dell'impero di Akbar il Grande. La sua costruzione, voluta dall'imperatore Akbar stesso, fonde insieme l'idea di una fortificazione e di un palazzo reale. Iniziato nel 1565, venne ultimato dopo otto anni di lavori ed è qui che il sovrano Shah Jahan trascorse prigioniero il resto della sua vita, fissando dalla finestra la lontana sagoma del Taj dove, alla sua morte, venne seppellito insieme all'adorata moglie. La sua collocazione in riva al fiume corrisponde all'estensione della dinastia Mogul nel XVI secolo, sviluppatasi soprattutto nella zona del fiume Yamuna, nel centro della città.
Questa sorta di cittadella voluta da Akbar – che ha veduto il succedersi, anche architettonico, di tre dinastie (Akbar, Jahangir, e Shah Jahan) – mantiene ancora oggi l'impronta di una evidente monumentalità con le imponenti porte e mura di sabbia rossa (20 metri di altezza per 2,5 chilometri di circonferenza) che ne suggerirono l'appellativo di Red Palace. Sontuosi palazzi e floridi giardini completano il quadro di questo palazzo fortezza in arenaria rossa, nel tempo arricchitosi anche di edifici in marmo bianco. Nato come struttura militare, venne in seguito utilizzato come palazzo e prigione del sovrano Shan Jhahan.
Il mausoleo Itmad-Ud-Daula
Più appariscente, e simile nella lavorazione al Taj, è la tomba Itmad-Ud-Daula che, infatti, fu l'antesignana del Taj, essendo il primo monumento dell'architettura Mughal edificato con l'utilizzo del marmo bianco e della “pietra dura”, entrambe caratteristiche del Taj. Il giardino che la circonda è recintato su tre lati da alte mura, mentre il quarto lato si apre verso il fiume Yamuna, con una schiusa panoramica sulla città. Il cancello dell'entrata principale è composto di pietre di sabbia rossa con una doppia struttura intarsiata con marmo bianco. Le mura di marmo sono decorate con inscrizioni del Sacro Corano, alberi di cipressi, fiaschi di vino e brocche intagliate nel marmo con una cura che rende impossibile non soffermarsi sui particolari. L'intarsio di pietre preziose nel marmo bianco è il distintivo di questi capolavori di Agra che attirano ogni anno migliaia e migliaia di visitatori.
L'artigianato
L'artigianato locale di qualità ancora perpetua questa lavorazione ricalcando l'arte dell'intarsio, sì che tra i souvenir più preziosi e caratteristici da portare a casa può esserci un Taj in miniatura o altri monili e porta oggetti lavorati con il marmo bianco e le pietre preziose importate. Tra gli atelier più prestigiosi di Agra dove fare acquisti di questo tipo e assistere anche a una mini visita dell'artigiano che lavora le sue opere d'arte, si segnala Saga Department Store (Gopal Nursery, Fatehabad Road, Taj Ganj, Agra) dove, mercanteggiando un po' come d'obbligo ovunque in India, si possono acquistare scatolette porta gioie in marmo intarsiate con pietre preziose.
Naturalmente, il prezzo è proporzionato alla grandezza del monile e alla quantità e al tipo di pietre utilizzate. Ogni sorta di collane, bracciali, statuette di Buddha, elefanti e quant'altro, non mancheranno tuttavia di essere offerti per poche rupie in mezzo alla strada, nei percorsi altamente turistici che conducono ai monumenti principali di Agra. E' qui che la povertà si tocca con mano, vista l'entità irrisoria degli scambi monetari con questi venditori ambulanti che potranno avere dai 5 ai 16 anni, e che lascia nelle suggestioni del momento qualcosa di inafferrabile ma che ha a che fare con un certo contrasto tra splendore e miseria che certe zone del mondo riescono a dipingere con tonalità indimenticabili.
La storia del “monumento all'amore” per antonomasia è forse nota a tutti. Fu fatto costruire dal quinto imperatore mogul Shah Jahan in memoria della moglie Arjumand Bano Begum, chiamata in seguito Mumtaz Mahal (la “Signora del Taj” e, in persiano, “la luce del Palazzo”), per esaudire una richiesta che ella poco prima di morire dando alla luce il 14 figlio, rivolse all'amato come suo ultimo desiderio: che fosse eretto un monumento di incomparabile bellezza sopra la sua tomba, a testimonianza della grandezza del loro insuperabile amore.
Fu così che, dopo un infaticabile lavoro iniziato nel 1631 e durato 22 anni, l'India ricevette il suo dono più grandioso il cui nome evoca vicende terrene strappate alla ruota del tempo e immortalate per sempre nel regno delle immutabili realtà, tanto care in questa terra dove il sacro è parte integrante del quotidiano. Per sempre, appunto, “taj mahal”.
Difficile, del resto, immaginarne una sorte diversa dalla celebrità, se solo si presta attenzione ai dettagli di questo capolavoro di grazia e delizia architettonica. Il posto, innanzi tutto. Fu scelto l'argine destro del fiume Yamuna, precisamente l'angolo nord-ovest del giardino sulla riva del fiume. E poi, gli ideatori del progetto: si presentarono davanti all'imperatore i migliori architetti del mondo, naturalmente. Tra tutti, il prescelto fu un persiano, Ustad-Isa-Afandi, il Demiurgo del Taj.
Passando ai materiali, è il marmo bianco il protagonista della costruzione, come principio alchemico superiore che eleva qualsiasi cosa al di sopra della media: non un marmo qualsiasi, bensì uno di qualità superiore fatto pervenire da Makrana, nel distretto del Naguar in Rajasthan. Il marmo giallo e quello nero furono portati rispettivamente dalle località di Narbads e Charkon. Tra gli altri materiali, spicca la pietra rossa proveniente invece da Dholpur e Fatehpur Sikri. Vennero utilizzate anche le varie pietre preziose, oro e argento, che arrivavano in dono all'imperatore dai vari re e capi delle regioni. Oltre 1.000 elefanti vennero impiegati per il trasporto delle materie prime prelevate da terre lontane (oltre il marmo bianco dal Rajasthan, il diaspro dal Punjab, la giada e il cristallo dalla Cina, i turchesi dal Tibet, i lapislazzuli dall'Afghanistan, gli zaffiri dallo Sri Lanka e la corniola dall'Arabia) e – altro numero eccezionale – la costruzione vide coinvolte più di 22 mila persone.
Dopo l'erezione del blocco principale furono creati gli edifici circostanti e il giardino. Ulteriori anni ci vollero per l'edificazione dell'entrata con il cancello riccamente istoriato e per la Moschea. Si narra, e non è da ritenere solo una coincidenza, che le 22 cupole sulla sommità del cancello d'entrata rappresentino proprio i 22 anni durante i quali il capolavoro prese forma. Il cancello a sud si affaccia sul moderno Taj Ganj (anticamente noto come Mumtazabad) ed è concepito solo per i pedoni; sul lato destro di questo cancello si trova una tomba di pietra rossa, circondata da cortili e sormontata da una cupola. Si dice che qui vi sia sepolta una delle dame di compagnia di Mumtaz Mahal e, per tal motivo, la costruzione è chiamata la tomba della damigella d'onore.
Il cancello orientale si affaccia verso Fatehabad e, anche qui, in prossimità del cancello, spicca una tomba a cupola eretta su una elevata piattaforma. Si tratta in questo caso della tomba costruita in memoria di un'altra moglie di Shah Jahan, chiamata Sirhindi Begum, da cui il nome del cancello noto come “Sirhi Darwaza”: il monumento principale si compone di 8 lati, ha 24 archi, un grosso salone ed una veranda.
L'entrata principale del Taj Mahal è quella del monumentale cancello ad ovest, che si affaccia verso Agra. Ad introdurre il passaggio nel sogno di marmo, è un edificio esterno di pietra di sabbia rossa (il Fatehpuri Maszid), costruito in memoria di un'altra moglie dell'imperatore, Fatehpuri Begum. Dopo aver oltrepassato il cancello ed aver assorbito in un colpo d'occhio lo splendore del miraggio marmoreo che domina la prospettiva, si può notare sulla sinistra la bella tomba lastricata in marmo di Situnu-Nisa-Khanam, la dama di compagnia prediletta di Mumtaz Mahal, nonché istitutrice di Jahan Ara Begum, l'amatissima figlia di Shah Jahan che, dopo la morte dell'imperatrice, condivise con il padre molti momenti di solitudine.
L'ingresso vero e proprio nel Taj – introdotto da un cammino quasi iniziatico che costeggia giardini e specchi d'acqua collegati tra loro da armonie che richiamano istintivamente relazioni numeriche di mondi celesti – è una sala d'ingresso ottagonale circondata da piccole stanze su ambedue i lati con bellissimi cancelli decorati. Il portone è quasi un capolavoro a sé di arte d'intarsio nel marmo bianco. L'acqua che scorre nei giardini, tra fontane e ruscelli zampillanti, fu tratta dal fiume Jamuna mediante un complesso lavoro di trazione idraulica in cui venne utilizzata la forza motrice dei cammelli.
Sotto la cupola principale, all'interno del nucleo centrale del Taj Mahal, si trovano le tombe dei due coniugi, finalmente riuniti dopo la morte in un'altra vita. Sopra la tomba di Mumtaz Mahal viene esposta ogni venerdì e ad ogni anniversario della sua morte, una copertura di fili di perla dall'inqualificabile valore, un dettaglio in più di quell'insieme altamente spettacolare che fonde architettura indiana e persiana degno di una delle sette Meraviglie del Mondo qual è il Taj Mahal, senza riserve.
Tra le tante prodezze del marmo bianco, ce n'è una che fa del Taj un vero prodigio da contemplazione: l'assorbimento dei colori e di qualsiasi sfumatura del cielo. Così, ogni tinta che la volta celeste decide di assimilare, diventa un'elegia cromatica nella sagoma intarsiata del Taj Mahal: dalla vaghezza dell'alba all'abbagliante folgore bianca del mezzogiorno, al fulgido splendore della luce lunare quando la cupola sottile si staglia verso le stelle come una perla grigia. Eppure, nessuno di questi effetti può eguagliare quei fugaci momenti in cui, dopo il calar del sole, il complesso assume una crepuscolare tinta rosa pallido, quasi un senso di pudore di fronte a tanta magniloquenza di luce. Un'immagine che, una volta sfiorata con lo sguardo a testa in su, rimane di nome e di fatto “per sempre”.
Benché la fama del Taj Mahal tenda in parte ad occultarne i fasti, fanno parte del patrimonio artistico della città imperiale Agra, risalente soprattutto al periodo della dinastia Mughal (1556-1707), anche l'Agra Fort, tra l'altro già visibile dallo stesso Taj, e la tomba Itmad-Ud-Daula, fatta costruire dall'imperatrice Noor Jahan in memoria di suo padre Mirza Ghiyas Beg.
Il Forte di Agra
L'Agra Fort, altrimenti detto il “Re dei Palazzi” o il “Palazzo Rosso”, risale al tempo dell'impero di Akbar il Grande. La sua costruzione, voluta dall'imperatore Akbar stesso, fonde insieme l'idea di una fortificazione e di un palazzo reale. Iniziato nel 1565, venne ultimato dopo otto anni di lavori ed è qui che il sovrano Shah Jahan trascorse prigioniero il resto della sua vita, fissando dalla finestra la lontana sagoma del Taj dove, alla sua morte, venne seppellito insieme all'adorata moglie. La sua collocazione in riva al fiume corrisponde all'estensione della dinastia Mogul nel XVI secolo, sviluppatasi soprattutto nella zona del fiume Yamuna, nel centro della città.
Questa sorta di cittadella voluta da Akbar – che ha veduto il succedersi, anche architettonico, di tre dinastie (Akbar, Jahangir, e Shah Jahan) – mantiene ancora oggi l'impronta di una evidente monumentalità con le imponenti porte e mura di sabbia rossa (20 metri di altezza per 2,5 chilometri di circonferenza) che ne suggerirono l'appellativo di Red Palace. Sontuosi palazzi e floridi giardini completano il quadro di questo palazzo fortezza in arenaria rossa, nel tempo arricchitosi anche di edifici in marmo bianco. Nato come struttura militare, venne in seguito utilizzato come palazzo e prigione del sovrano Shan Jhahan.
Il mausoleo Itmad-Ud-Daula
Più appariscente, e simile nella lavorazione al Taj, è la tomba Itmad-Ud-Daula che, infatti, fu l'antesignana del Taj, essendo il primo monumento dell'architettura Mughal edificato con l'utilizzo del marmo bianco e della “pietra dura”, entrambe caratteristiche del Taj. Il giardino che la circonda è recintato su tre lati da alte mura, mentre il quarto lato si apre verso il fiume Yamuna, con una schiusa panoramica sulla città. Il cancello dell'entrata principale è composto di pietre di sabbia rossa con una doppia struttura intarsiata con marmo bianco. Le mura di marmo sono decorate con inscrizioni del Sacro Corano, alberi di cipressi, fiaschi di vino e brocche intagliate nel marmo con una cura che rende impossibile non soffermarsi sui particolari. L'intarsio di pietre preziose nel marmo bianco è il distintivo di questi capolavori di Agra che attirano ogni anno migliaia e migliaia di visitatori.
L'artigianato
L'artigianato locale di qualità ancora perpetua questa lavorazione ricalcando l'arte dell'intarsio, sì che tra i souvenir più preziosi e caratteristici da portare a casa può esserci un Taj in miniatura o altri monili e porta oggetti lavorati con il marmo bianco e le pietre preziose importate. Tra gli atelier più prestigiosi di Agra dove fare acquisti di questo tipo e assistere anche a una mini visita dell'artigiano che lavora le sue opere d'arte, si segnala Saga Department Store (Gopal Nursery, Fatehabad Road, Taj Ganj, Agra) dove, mercanteggiando un po' come d'obbligo ovunque in India, si possono acquistare scatolette porta gioie in marmo intarsiate con pietre preziose.
Naturalmente, il prezzo è proporzionato alla grandezza del monile e alla quantità e al tipo di pietre utilizzate. Ogni sorta di collane, bracciali, statuette di Buddha, elefanti e quant'altro, non mancheranno tuttavia di essere offerti per poche rupie in mezzo alla strada, nei percorsi altamente turistici che conducono ai monumenti principali di Agra. E' qui che la povertà si tocca con mano, vista l'entità irrisoria degli scambi monetari con questi venditori ambulanti che potranno avere dai 5 ai 16 anni, e che lascia nelle suggestioni del momento qualcosa di inafferrabile ma che ha a che fare con un certo contrasto tra splendore e miseria che certe zone del mondo riescono a dipingere con tonalità indimenticabili.
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