Turchia: Istanbul, Efeso e Cappadocia
La Turchia è da sempre ponte tra Europa e Asia. Questa terra che si protende nel Mediterraneo, così diversa dalle nostre abitudini e dalla nostra civiltà, è parte integrante della nostra cultura. Andando a ritroso, la storia più vicina, quella del Novecento, vede la definitiva scomparsa dell’Impero Ottomano e la triste “invasione” dei lavoratori turchi in Germania, alla ricerca di una possibilità per una vita migliore (quanti parallelismi con i nostri emigranti che si riversarono al di là dell’oceano e nel nord Europa). C’è poi la storia gloriosa, e sanguinaria, di un regno islamico potente e temuto in tutta Europa. C’è il continuo intreccio con l’impero di Bisanzio.
Testo di Cristiano Pinotti - foto di P. Pedrini, S. Fracasso, S. Rizzoli e E. Bastelli
E più indietro ecco le colonie greche dell’Asia Minore, per giungere sino al mito, o forse, alla realtà. Già, perché la Turchia è il palcoscenico in cui si svolge la più epica battaglia di tutti i tempi: la guerra di Troia. Nei pressi dello stretto dei Dardanelli, dove l’Egeo si separa dal Mar di Marmara, e quindi dal Mar Nero, al confluire del Simoenta e dello Scamandro, sorgeva Troia, la superba città vinta dai greci con l’inganno.
Sulla guerra, sul suo effettivo svolgimento, sulle sue cause, sono stati versati fiumi di inchiostro. Fatto sta, che sia nel caso ci si trovi di fronte a un conflitto totalmente dettato da motivazioni economiche, come autorevolmente sostiene l’archeologo Korfmann, oppure ci si lasci intenerire dal meraviglioso racconto di Omero, si deve ammettere che la vicenda di Troia è qualcosa che ci accomuna, che è entrata a far parte della nostra storia e di quella del popolo turco.
Istanbul
L'editto di Costantino segna un punto di svolta per la cristianità e per la storia dell'occidente. Il grande imperatore romano dà il via alla libertà di culto, elimina le persecuzioni; al pari dei grandi predicatori, benché su un piano differente, è un artefice della divulgazione della parola di Cristo. Eppure, nel VI canto del Paradiso, quello eminentemente “politico”, l'interlocutore di Dante non è Costantino, uno degli ultimi imperatori capace di incarnare le virtù della romanità, bensì Giustiniano, un imperatore importante, senza dubbio, ma profondamente legato ad una visione del mondo ormai completamente diversa.
Giustiniano è il diritto, è la base del codice di mezza Europa (Corpus iuris civilis); Costantino è la forza, la latinità che si impone con la spada. In questo canto, il vincitore di Massenzio è assente, perché si è macchiato di quella che, per Dante, è una “colpa” incancellabile. “Costantin l'aquila volse contr'al corso del ciel”, indirizzò l'impero romano verso oriente, un atto imperdonabile che per cinquecento anni, almeno fino all'arrivo dei Franchi, trasferirà ad est i centri del potere, senza alcun bilanciamento al di qua dell'Adriatico.
Per noi, dopo tanti secoli e altrettanti mutamenti del panorama politico europeo, questo “trasferimento” è anche l'inizio di una città che accoglie una triplice eredità: romana, cristiana e, da ultimo, musulmana. Istanbul che traluce di Costantinopoli e Bisanzio. Costantinopoli, benché sovrastata dal fascino e dall'imponenza dell'arte islamica, di tanto in tanto fa capolino nell'area dominata da S. Sofia e dalla Moschea Blu. Questo era il quartiere dell'antico ippodromo, l'enorme stadio la cui costruzione pare risalire all'imperatore Settimio Severo. Delle ricchezze che ornavano l'area dello stadio oggi rimane ben poco: la colonna di Costantino, i resti della colonna Serpentina, l'obelisco di Teodosio che, di chiara origine egizia (risale al regno di Thutmosi III), fu appunto fatta trasportare in Anatolia nel 390 d.C. da Teodosio I e riporta, nella base, bassorilievi con l'imperatore romano attorniato dai propri familiari. Poco distante ecco la cisterna delle 1001 colonne (in realtà “solo” 264) e la fontana donata al Kaiser Guglielmo II.
Per entrare completamente in epoca classica è però indispensabile una visita al Museo Archeologico, un complesso di gallerie che trasporta il visitatore dalle civiltà mesopotamiche alle testimonianze greche e romane attraverso un incredibile numero di capolavori. Dalla terra del Tigri e dell'Eufrate ecco l'obelisco di Adad-Nirari III, i fregi invetriati della porta Ishtar di Babilonia, le iscrizioni a caratteri cuneiformi e poi ancora statue, figure in terracotta, bassorilievi e, di straordinaria importanza storica, la tavoletta del trattato di Kadesh. Per quanto concerne l'area classica vanno invece menzionati i preziosi sarcofagi, le statue (tra le quali spicca la grande raffigurazione di Apollo rinvenuta a Tralles e risalente al III sec. A.C.), gli affreschi e i mosaici.
La Basilica di Santa Sofia (Haghia Sophia) è un tipico esempio di sovrapposizione religiosa e culturale (si può ammirare un'opera simile anche nella cattedrale di Cordova, in Spagna), in cui sulle primitive chiese di epoca giustinianea si sono installate le sovrastrutture ottomane, che hanno trasformato una basilica a pianta greca in una delle più grandi moschee del mondo. L'aspetto, massiccio e imponente - accentuato dai possenti contrafforti di epoche successive che puntellano l'enorme cupola e le pareti - contrasta con lo slancio verso l'alto dei minareti. Lo stesso contrasto, o per meglio dire la medesima armonia tesa alla ricerca del metafisico, vive nella fontana delle abluzioni, nel mihrab e nella loggia del sultano, elementi islamici che si specchiano in un trionfo di mosaici bizantini che raccontano di imperatrici cristiane, di vergini, santi e angeli, in un meraviglioso connubio, che nell'arte sintetizza una possibile convivenza.
Più che un palazzo, il Topkapi è una città in miniatura, una serie di edifici organizzati attorno a quattro grandi cortili. Voluto da Maometto II, subito dopo la conquista della città da parte degli Ottomani, il Topkapi divenne la residenza reale fino all'Ottocento, periodo in cui gli vennero preferiti i palazzi costruiti sulle rive del Bosforo. Dal 1924, il Topkapi è divenuto uno splendido museo. Il palazzo, immenso nella sua magnificenza, è un susseguirsi di cortili, spettacolare preludio alle sue ricche collezioni artistiche. Tra queste meritano una visita la collezione di ceramiche, oggetti in vetro e in argento; lo splendore della tesoreria; la raffinatezza delle miniature e dei manoscritti (esposti solo in minima parte rispetto al numero di volumi in possesso del museo) e gli orologi. Da non perdere, infine, una visita all'Harem.
Il regno delle piastrelle Iznik - in prevalenza di cromia blu, ma anche rosse, bianche, nere, verdi e turchesi - ha dato il nome a uno dei più celebri monumenti cittadini, la Moschea Blu. Elegante e “leggero”, pur nella pesantezza degli elementi e dei volumi in gioco, la moschea beneficia dello slancio di ben sei minareti e della presenza di 260 finestre che irradiano la luce del sole sulle sue magnifiche piastrelle, che costituiscono la maggior attrattiva dell'edificio.
La Moschea Suleymaniye, sontuosa e bellissima, è il capolavoro dell'architetto Sinan. Eretta a metà del Cinquecento per volere di Solimano il Magnifico, la moschea era al contempo luogo di culto, sepolcro (per Solimano, due dei suoi successori, la figlia Mihrimah e la sposa Haseki Hurrem), scuola, mensa popolare, ospizio, ospedale… attività racchiuse nei molti edifici che ancora oggi ne adornano il perimetro. L'esterno della moschea è un tripudio di cupole, semicupole, minareti, mentre l'interno affascina per l'ampiezza e la semplicità delle decorazioni, per le magnifiche vetrate e il bianco marmo, che scandisce i profili del mihrab.
Istanbul
L'editto di Costantino segna un punto di svolta per la cristianità e per la storia dell'occidente. Il grande imperatore romano dà il via alla libertà di culto, elimina le persecuzioni; al pari dei grandi predicatori, benché su un piano differente, è un artefice della divulgazione della parola di Cristo. Eppure, nel VI canto del Paradiso, quello eminentemente “politico”, l'interlocutore di Dante non è Costantino, uno degli ultimi imperatori capace di incarnare le virtù della romanità, bensì Giustiniano, un imperatore importante, senza dubbio, ma profondamente legato ad una visione del mondo ormai completamente diversa.
Giustiniano è il diritto, è la base del codice di mezza Europa (Corpus iuris civilis); Costantino è la forza, la latinità che si impone con la spada. In questo canto, il vincitore di Massenzio è assente, perché si è macchiato di quella che, per Dante, è una “colpa” incancellabile. “Costantin l'aquila volse contr'al corso del ciel”, indirizzò l'impero romano verso oriente, un atto imperdonabile che per cinquecento anni, almeno fino all'arrivo dei Franchi, trasferirà ad est i centri del potere, senza alcun bilanciamento al di qua dell'Adriatico.
Per noi, dopo tanti secoli e altrettanti mutamenti del panorama politico europeo, questo “trasferimento” è anche l'inizio di una città che accoglie una triplice eredità: romana, cristiana e, da ultimo, musulmana. Istanbul che traluce di Costantinopoli e Bisanzio. Costantinopoli, benché sovrastata dal fascino e dall'imponenza dell'arte islamica, di tanto in tanto fa capolino nell'area dominata da S. Sofia e dalla Moschea Blu. Questo era il quartiere dell'antico ippodromo, l'enorme stadio la cui costruzione pare risalire all'imperatore Settimio Severo. Delle ricchezze che ornavano l'area dello stadio oggi rimane ben poco: la colonna di Costantino, i resti della colonna Serpentina, l'obelisco di Teodosio che, di chiara origine egizia (risale al regno di Thutmosi III), fu appunto fatta trasportare in Anatolia nel 390 d.C. da Teodosio I e riporta, nella base, bassorilievi con l'imperatore romano attorniato dai propri familiari. Poco distante ecco la cisterna delle 1001 colonne (in realtà “solo” 264) e la fontana donata al Kaiser Guglielmo II.
Per entrare completamente in epoca classica è però indispensabile una visita al Museo Archeologico, un complesso di gallerie che trasporta il visitatore dalle civiltà mesopotamiche alle testimonianze greche e romane attraverso un incredibile numero di capolavori. Dalla terra del Tigri e dell'Eufrate ecco l'obelisco di Adad-Nirari III, i fregi invetriati della porta Ishtar di Babilonia, le iscrizioni a caratteri cuneiformi e poi ancora statue, figure in terracotta, bassorilievi e, di straordinaria importanza storica, la tavoletta del trattato di Kadesh. Per quanto concerne l'area classica vanno invece menzionati i preziosi sarcofagi, le statue (tra le quali spicca la grande raffigurazione di Apollo rinvenuta a Tralles e risalente al III sec. A.C.), gli affreschi e i mosaici.
La Basilica di Santa Sofia (Haghia Sophia) è un tipico esempio di sovrapposizione religiosa e culturale (si può ammirare un'opera simile anche nella cattedrale di Cordova, in Spagna), in cui sulle primitive chiese di epoca giustinianea si sono installate le sovrastrutture ottomane, che hanno trasformato una basilica a pianta greca in una delle più grandi moschee del mondo. L'aspetto, massiccio e imponente - accentuato dai possenti contrafforti di epoche successive che puntellano l'enorme cupola e le pareti - contrasta con lo slancio verso l'alto dei minareti. Lo stesso contrasto, o per meglio dire la medesima armonia tesa alla ricerca del metafisico, vive nella fontana delle abluzioni, nel mihrab e nella loggia del sultano, elementi islamici che si specchiano in un trionfo di mosaici bizantini che raccontano di imperatrici cristiane, di vergini, santi e angeli, in un meraviglioso connubio, che nell'arte sintetizza una possibile convivenza.
Più che un palazzo, il Topkapi è una città in miniatura, una serie di edifici organizzati attorno a quattro grandi cortili. Voluto da Maometto II, subito dopo la conquista della città da parte degli Ottomani, il Topkapi divenne la residenza reale fino all'Ottocento, periodo in cui gli vennero preferiti i palazzi costruiti sulle rive del Bosforo. Dal 1924, il Topkapi è divenuto uno splendido museo. Il palazzo, immenso nella sua magnificenza, è un susseguirsi di cortili, spettacolare preludio alle sue ricche collezioni artistiche. Tra queste meritano una visita la collezione di ceramiche, oggetti in vetro e in argento; lo splendore della tesoreria; la raffinatezza delle miniature e dei manoscritti (esposti solo in minima parte rispetto al numero di volumi in possesso del museo) e gli orologi. Da non perdere, infine, una visita all'Harem.
Il regno delle piastrelle Iznik - in prevalenza di cromia blu, ma anche rosse, bianche, nere, verdi e turchesi - ha dato il nome a uno dei più celebri monumenti cittadini, la Moschea Blu. Elegante e “leggero”, pur nella pesantezza degli elementi e dei volumi in gioco, la moschea beneficia dello slancio di ben sei minareti e della presenza di 260 finestre che irradiano la luce del sole sulle sue magnifiche piastrelle, che costituiscono la maggior attrattiva dell'edificio.
La Moschea Suleymaniye, sontuosa e bellissima, è il capolavoro dell'architetto Sinan. Eretta a metà del Cinquecento per volere di Solimano il Magnifico, la moschea era al contempo luogo di culto, sepolcro (per Solimano, due dei suoi successori, la figlia Mihrimah e la sposa Haseki Hurrem), scuola, mensa popolare, ospizio, ospedale… attività racchiuse nei molti edifici che ancora oggi ne adornano il perimetro. L'esterno della moschea è un tripudio di cupole, semicupole, minareti, mentre l'interno affascina per l'ampiezza e la semplicità delle decorazioni, per le magnifiche vetrate e il bianco marmo, che scandisce i profili del mihrab.
Efeso
La notevole vicinanza a Kusadasi, importante porto e stazione balneare della costa occidentale turca, fa di Efeso una delle località archeologiche più frequentate di tutta la Turchia, una notorietà pienamente giustificata perché è un luogo dove la storia delle civiltà che si sono affacciate lungo le sponde del Mediterraneo ha lasciato profonde e durature tracce nel corso dei secoli. Efeso, l’odierna Selçuk, era infatti un'importante e ricca metropoli dell’Asia Minore quando Atene era ancora politicamente poco influente e Roma neppure fondata.
Le sue grandi fortune furono il porto, importante transito commerciale sul Mediterraneo per le ricchezze provenienti dall’Anatolia e dalla Persia, e il radicato culto di Artemide, assimilazione greca dell'antico culto anatolico di Cibele, la Grande Madre dea della fecondità. Fu sede anche di un’importante scuola filosofica dove insegnò Eraclito, il pensatore presocratico a cui si deve la teoria del divenire (panta rei), vissuto ad Efeso tra il VI e il V secolo a.c.. Il primo nucleo di insediamento risale al II millennio a.C. in un luogo già consacrato a Cibele; ma il vero sviluppo si ebbe tuttavia dopo l’ XI secolo, quando con l’arrivo di coloni greci provenienti dal Peloponneso, entrò a far parte della Confederazione delle Polis Ioniche.
Nel VI secolo la Ionia passa sotto il dominio di Creso, il ricchissimo re della Lidia a cui si deve l’inizio della costruzione, sul preesistente santuario arcaico, dell’Artemision efesino, il Tempio di Artemide che, dopo un incendio e successive ricostruzioni, sarà ammirato nella sua grandiosa forma monumentale come una delle sette meraviglie dell’antichità. Al regno di Lidia seguono il dominio dei Persiani, di Alessandro Magno, del re di Pergamo e infine dei Romani, che ne fecero la capitale della provincia d’Asia. Proprio al periodo di dominazione romana risale la maggior parte degli edifici che si ammirano oggi negli scavi, testimonianza del periodo di massimo splendore della città quando arrivò a contare 200 mila abitanti.
La storia di Efeso si incrocia anche con la storia del cristianesimo delle origini per la presenza e la predicazione, storicamente confermata, degli apostoli Paolo e Giovanni. Con l’affermazione del cristianesimo Efeso continuò ad essere un luogo importante di pellegrinaggio, qui sorse la prima delle sette comunità cristiane dell’Asia Minore e il culto di Maria soppiantò quello di Artemide. A lei fu dedicata una basilica, prima e unica in quel tempo in tutto il mondo cristiano, dove si svolse nel 431 d.c. il Terzo Concilio ecumenico che condannò l’eresia nestoriana e sancì il dogma della maternità divina della Madonna. Al tempo del terzo Concilio Ecumenico, la città era ormai in declino, come il suo porto completamente interrato. La fortuna arrise così agli archeologi che nel 1866, quando iniziarono gli scavi, si trovarono di fronte ad una delle città più fastose e intatte dell’antichità.
La visita al sito di Efeso può iniziare dalla Porta di Magnesia, dove un tempo partiva la via sacra che conduceva all’Artemision, soffermandosi sugli edifici più significativi. Si inizia dall'agorà superiore, centro politico della città, dove sorgono il pritaneo, l’antico municipio, il tempio di Domiziano, la grande basilica a tre navate e l’odeon, dove si riuniva il consiglio cittadino, capace di contenere 1.400 persone. Si scende poi lungo la suggestiva “via dei Cureti”, fronteggiata da imponenti costruzioni: la fontana di Traiano, il monumento di Memmio, le terme di Scolastica con un importante affresco di Socrate. I quartieri residenziali di destra sono ancora tutti da scavare, quelli di sinistra solo in parte.
Qui si possono visitare alcune residenze patrizie, incredibilmente ben conservate, ricche di marmi, affreschi e mosaici. Dopo il tempio di Adriano ecco un luogo assai utile per una città portuale, il postribolo, dove – forse non a caso - fu rinvenuta la celebre statuetta del dio Priapo dal fallo spropositato. La via dei Cureti termina di fronte alla monumentale Biblioteca di Celso, quasi intatta nelle sue strutture; mancano, purtroppo, i rotoli dei 12 mila papiri che vi erano conservati, distrutti durante l'invasione dei Goti, un danno irreparabile per la cultura universale. Inizia allora la “via marmorea”, fronteggiata dal tempio di Serapide e dall'Agorà inferiore con i suoi porticati, centro commerciale della città, con al centro un orologio ad acqua.
Sul fondo, adagiato sul fianco di una collina, ecco aprirsi l’imponente teatro capace di 25 mila spettatori, uno dei più grandi e meglio conservati dell’antichità, creato da Lisimaco, generale ed erede di Alessandro Magno, nel 271 a.C. e poi ampliato nella struttura attuale dagli imperatori Claudio e Traiano. Da qui inizia l’Arcadiana, una strada lunga 600 metri che conduceva al porto: interamente rivestita di marmo, fiancheggiata da colonne, negozi e porticati; era la via di accesso alla città per tutti gli stranieri che vi arrivavano via mare. Il suo eccezionale stato di conservazione ne fa ancora oggi un luogo incantevole. La visita si conclude con le terme bizantine, lo stadio di Nerone, il ginnasio di Vedio e la chiesa della Vergine Maria con annesso battistero.
Dell’Artemision, uno dei più importanti luoghi di pellegrinaggio dell’antichità e contenente opere di Fidia, Prassitele, Scopa e Policleto, i massimi scultori del mondo greco, resta ben poco: qualche capitello, un’unica colonna ionica alta 20 metri delle 126 originarie, in quanto gran parte del materiale fu usato in epoca bizantina per la costruzione delle chiese di San Giovanni ad Efeso e di Santa Sofia a Costantinopoli. Il Museo archeologico, davvero ricco, richiede invece alcune ore per una visita accurata; non si neghi almeno un’occhiata alle due statue marmoree di Artemide, se non altro per ammirare il pettorale della dea delle molteplici mammelle, simbolo della fertilità.
La trecentesca moschea selgiuchide di Isa Bey, l’acquedotto bizantino ora popolato da cicogne, e la basilica di San Giovanni, una delle più grandi chiese bizantine sorte sulla presunta tomba dell’apostolo, poi trasformata in moschea e quindi in mercato coperto, costituiscono i principali monumenti nel centro di Selçuk. Nei pressi di Efeso, sulle pendici del Bulbul Dagi (la collina dell’usignolo) si trova il Meryem Ana Evi, la “Casa della Madre Maria” dove una tradizione vuole che abbia vissuto gli ultimi anni della sua vita la madre di Gesù assistita dall'apostolo Giovanni.
Tutto cominciò nel 1852 con la pubblicazione in Germania del libro “Vita della Santa Vergine Maria”, frutto delle visioni mistiche della monaca agostiniana Caterina Emmerich, in cui viene accuratamente descritta l’ultima residenza della Madonna su una collina nei pressi di Efeso. Nel 1891 due padri lazzaristi di Smirne compirono scavi sul luogo indicato, scoprendovi i resti di una costruzione in pietra a cupola di età bizantina, inglobante un precedente piccolo edificio del I° secolo, proprio come indicato dalle visioni della mistica.
Se l’autenticità storica di questo piccolo santuario è dubbia non lo è il valore sacro del luogo per i credenti di fede cristiana e musulmana. Da sempre i contadini ortodossi Kirkindjiotes, discendenti dei primi cristiani efesini, nel giorno dell’Assunta salgono dal loro piccolo villaggio in pellegrinaggio a Meryem Ana. Oggi è meta di pellegrinaggio per milioni di fedeli come lo è stato per i papi Paolo VI nel 1967, di Giovanni Paolo II nel 1979 e recentemente di Benedetto XVI. Una piccola casa in mezzo agli alberi, su un rilievo nei pressi di Efeso, è tra i pochi posti al mondo dove cristiani e musulmani possono pregare insieme in nome di Maria, la madre di Gesù il salvatore per i cristiani, e del profeta Gesù per i seguaci del Corano.
La notevole vicinanza a Kusadasi, importante porto e stazione balneare della costa occidentale turca, fa di Efeso una delle località archeologiche più frequentate di tutta la Turchia, una notorietà pienamente giustificata perché è un luogo dove la storia delle civiltà che si sono affacciate lungo le sponde del Mediterraneo ha lasciato profonde e durature tracce nel corso dei secoli. Efeso, l’odierna Selçuk, era infatti un'importante e ricca metropoli dell’Asia Minore quando Atene era ancora politicamente poco influente e Roma neppure fondata.
Le sue grandi fortune furono il porto, importante transito commerciale sul Mediterraneo per le ricchezze provenienti dall’Anatolia e dalla Persia, e il radicato culto di Artemide, assimilazione greca dell'antico culto anatolico di Cibele, la Grande Madre dea della fecondità. Fu sede anche di un’importante scuola filosofica dove insegnò Eraclito, il pensatore presocratico a cui si deve la teoria del divenire (panta rei), vissuto ad Efeso tra il VI e il V secolo a.c.. Il primo nucleo di insediamento risale al II millennio a.C. in un luogo già consacrato a Cibele; ma il vero sviluppo si ebbe tuttavia dopo l’ XI secolo, quando con l’arrivo di coloni greci provenienti dal Peloponneso, entrò a far parte della Confederazione delle Polis Ioniche.
Nel VI secolo la Ionia passa sotto il dominio di Creso, il ricchissimo re della Lidia a cui si deve l’inizio della costruzione, sul preesistente santuario arcaico, dell’Artemision efesino, il Tempio di Artemide che, dopo un incendio e successive ricostruzioni, sarà ammirato nella sua grandiosa forma monumentale come una delle sette meraviglie dell’antichità. Al regno di Lidia seguono il dominio dei Persiani, di Alessandro Magno, del re di Pergamo e infine dei Romani, che ne fecero la capitale della provincia d’Asia. Proprio al periodo di dominazione romana risale la maggior parte degli edifici che si ammirano oggi negli scavi, testimonianza del periodo di massimo splendore della città quando arrivò a contare 200 mila abitanti.
La storia di Efeso si incrocia anche con la storia del cristianesimo delle origini per la presenza e la predicazione, storicamente confermata, degli apostoli Paolo e Giovanni. Con l’affermazione del cristianesimo Efeso continuò ad essere un luogo importante di pellegrinaggio, qui sorse la prima delle sette comunità cristiane dell’Asia Minore e il culto di Maria soppiantò quello di Artemide. A lei fu dedicata una basilica, prima e unica in quel tempo in tutto il mondo cristiano, dove si svolse nel 431 d.c. il Terzo Concilio ecumenico che condannò l’eresia nestoriana e sancì il dogma della maternità divina della Madonna. Al tempo del terzo Concilio Ecumenico, la città era ormai in declino, come il suo porto completamente interrato. La fortuna arrise così agli archeologi che nel 1866, quando iniziarono gli scavi, si trovarono di fronte ad una delle città più fastose e intatte dell’antichità.
La visita al sito di Efeso può iniziare dalla Porta di Magnesia, dove un tempo partiva la via sacra che conduceva all’Artemision, soffermandosi sugli edifici più significativi. Si inizia dall'agorà superiore, centro politico della città, dove sorgono il pritaneo, l’antico municipio, il tempio di Domiziano, la grande basilica a tre navate e l’odeon, dove si riuniva il consiglio cittadino, capace di contenere 1.400 persone. Si scende poi lungo la suggestiva “via dei Cureti”, fronteggiata da imponenti costruzioni: la fontana di Traiano, il monumento di Memmio, le terme di Scolastica con un importante affresco di Socrate. I quartieri residenziali di destra sono ancora tutti da scavare, quelli di sinistra solo in parte.
Qui si possono visitare alcune residenze patrizie, incredibilmente ben conservate, ricche di marmi, affreschi e mosaici. Dopo il tempio di Adriano ecco un luogo assai utile per una città portuale, il postribolo, dove – forse non a caso - fu rinvenuta la celebre statuetta del dio Priapo dal fallo spropositato. La via dei Cureti termina di fronte alla monumentale Biblioteca di Celso, quasi intatta nelle sue strutture; mancano, purtroppo, i rotoli dei 12 mila papiri che vi erano conservati, distrutti durante l'invasione dei Goti, un danno irreparabile per la cultura universale. Inizia allora la “via marmorea”, fronteggiata dal tempio di Serapide e dall'Agorà inferiore con i suoi porticati, centro commerciale della città, con al centro un orologio ad acqua.
Sul fondo, adagiato sul fianco di una collina, ecco aprirsi l’imponente teatro capace di 25 mila spettatori, uno dei più grandi e meglio conservati dell’antichità, creato da Lisimaco, generale ed erede di Alessandro Magno, nel 271 a.C. e poi ampliato nella struttura attuale dagli imperatori Claudio e Traiano. Da qui inizia l’Arcadiana, una strada lunga 600 metri che conduceva al porto: interamente rivestita di marmo, fiancheggiata da colonne, negozi e porticati; era la via di accesso alla città per tutti gli stranieri che vi arrivavano via mare. Il suo eccezionale stato di conservazione ne fa ancora oggi un luogo incantevole. La visita si conclude con le terme bizantine, lo stadio di Nerone, il ginnasio di Vedio e la chiesa della Vergine Maria con annesso battistero.
Dell’Artemision, uno dei più importanti luoghi di pellegrinaggio dell’antichità e contenente opere di Fidia, Prassitele, Scopa e Policleto, i massimi scultori del mondo greco, resta ben poco: qualche capitello, un’unica colonna ionica alta 20 metri delle 126 originarie, in quanto gran parte del materiale fu usato in epoca bizantina per la costruzione delle chiese di San Giovanni ad Efeso e di Santa Sofia a Costantinopoli. Il Museo archeologico, davvero ricco, richiede invece alcune ore per una visita accurata; non si neghi almeno un’occhiata alle due statue marmoree di Artemide, se non altro per ammirare il pettorale della dea delle molteplici mammelle, simbolo della fertilità.
La trecentesca moschea selgiuchide di Isa Bey, l’acquedotto bizantino ora popolato da cicogne, e la basilica di San Giovanni, una delle più grandi chiese bizantine sorte sulla presunta tomba dell’apostolo, poi trasformata in moschea e quindi in mercato coperto, costituiscono i principali monumenti nel centro di Selçuk. Nei pressi di Efeso, sulle pendici del Bulbul Dagi (la collina dell’usignolo) si trova il Meryem Ana Evi, la “Casa della Madre Maria” dove una tradizione vuole che abbia vissuto gli ultimi anni della sua vita la madre di Gesù assistita dall'apostolo Giovanni.
Tutto cominciò nel 1852 con la pubblicazione in Germania del libro “Vita della Santa Vergine Maria”, frutto delle visioni mistiche della monaca agostiniana Caterina Emmerich, in cui viene accuratamente descritta l’ultima residenza della Madonna su una collina nei pressi di Efeso. Nel 1891 due padri lazzaristi di Smirne compirono scavi sul luogo indicato, scoprendovi i resti di una costruzione in pietra a cupola di età bizantina, inglobante un precedente piccolo edificio del I° secolo, proprio come indicato dalle visioni della mistica.
Se l’autenticità storica di questo piccolo santuario è dubbia non lo è il valore sacro del luogo per i credenti di fede cristiana e musulmana. Da sempre i contadini ortodossi Kirkindjiotes, discendenti dei primi cristiani efesini, nel giorno dell’Assunta salgono dal loro piccolo villaggio in pellegrinaggio a Meryem Ana. Oggi è meta di pellegrinaggio per milioni di fedeli come lo è stato per i papi Paolo VI nel 1967, di Giovanni Paolo II nel 1979 e recentemente di Benedetto XVI. Una piccola casa in mezzo agli alberi, su un rilievo nei pressi di Efeso, è tra i pochi posti al mondo dove cristiani e musulmani possono pregare insieme in nome di Maria, la madre di Gesù il salvatore per i cristiani, e del profeta Gesù per i seguaci del Corano.
Cappadocia e Anatolia
Il nostro viaggio in Turchia prosegue in Anatolia, la storica regione centrale, così misteriosa e affascinante, che racconta una Turchia cristiana, una terra dove gli elementi della natura hanno giocato nello scolpire le forme strane e bizzarre della Cappadocia, dove la mano del tempo incontra, a più riprese, quella dell’uomo, nelle sue credenze, nella sua volontà di fuggire il mondo o di volerlo dominare. In ogni caso, per chi avesse nostalgia della Turchia più classica, quella delle Porte Scee, affacciate sulla costa del Mediterraneo e sull'arcipelago del Dodecaneso, suggeriamo un’intensa lettura di viaggio: “Omero, Iliade” di Alessandro Baricco, che riscrive, con una prosa vicinissima ai nostri tempi, la vicenda che, da millenni, affascina l’umanità.
Il nostro tragitto ci porta a Konya, adagiata su un brullo altopiano della steppa, città moderna e antica, dove il parco dei divertimenti si contrappone alla scuola teologica selgiuchide di Karatay; dove i giardini che cingono la villa del sultano Kiliç Arslan introducono alle maestose strutture della grande Moschea di Alaedin, completamente immersa nel verde; dove, soprattutto, è forte un profondo sentimento religioso che esplode nel Mevlana museum. Konya, infatti, è la città di Mevlana (Celaleddin Rumi) fondatore dell’ordine dei Dervisci danzanti.
Il museo è un vero capolavoro. Da non perdere la Fontana delle abluzioni, la Sala delle Cerimonie, la Tomba di Mevlana e le stanze che illustrano la vita derviscia. La filosofia di Mevlana, uno dei più importanti mistici islamici, si fonda sull’amore universale da trovare, in maniera estatica, attraverso una danza liberatoria che elimina l’uomo dalle difficoltà e dal dolore della vita di tutti i giorni. Il movimento rotatorio di questa danza, cuore del rituale Sema, ha portato a definire i Dervisci come “danzanti” o “rotanti”.
Il tufo, i vulcani, l’erosione. Sono questi gli elementi primari che costituiscono la Cappadocia. Se poi, come è avvenuto, si aggiunge l’azione dell’uomo, ecco un capolavoro. Le sue improbabili formazioni tufacee sono il frutto della fantasia della natura, della sua pazienza nel lavorare, plasmare e levigare la pietra. Una pietra amica dell’uomo, che per la sua docilità è stata scavata, perforata e abitata da generazioni che qui si sono rifugiate, hanno pregato, hanno vissuto e, ancora oggi, vivono, tra paesaggi che mutano in relazione alla luce, alla forza esercitata dalla mano della natura col suo scalpello, dolce o devastante.
Entriamo in Cappadocia in modo originale, puntando verso una meta poco conosciuta, ma che merita una visita per il suo significato storico. Il sultanato di Konya, infatti, si collegava alla Persia attraverso una trafficata pista carovaniera che, in epoca tardo medioevale, faceva tappa al caravanserraglio di Sultanhani. Costruito tra il 1232 e il 1236, Sultanhani è un interessante esempio dell’architettura selgiuchide che intervalla torrette a contrafforti di differenti fogge e dimensioni.
Il primo appuntamento con la Cappadocia più conosciuta è, invece, qualcosa di sconvolgente. L’area dei famosi “Camini di fata”. Strane e affascinanti formazioni rocciose, che la superstizione popolare ha legato alla presenza di creature magiche e fantastiche. Alcune strutture raggiungono anche i 40 metri d’altezza e, ancora una volta, lasciano esterrefatti al cospetto della forza e della fantasia degli elementi naturali. Zelve, però, non è solo un tempio della natura, il suo tufo, tra cui spuntano piccoli vigneti, è punteggiato di caverne, cappelle, rifugi, abitazioni rupestri, mulini, frantoi, buie gallerie da esplorare armati di torcia elettrica. Tra gli anfratti più interessanti: la Chiesa delle Uva (Uzumlu Kilise) e quella del Cervo (Geyikli Kilise).
Goreme è un’infinita concentrazione di monasteri e cappelle scavate nella roccia. Improvvisamente sembra di essere in Grecia, affreschi in stile orientale emergono dal tufo e ci riportano alla vita monastica e cristiana dell’epoca alto medievale. L’Open Air Museum, un nome che contrasta enormemente con la spiritualità e l’antichità del luogo, ospita oltre trenta chiese rupestri, tra le quali, per bellezza e fascino, spiccano quella di Çarikli, di Santa Caterina, di Yilanli, di Santa Barbara, di Elmali, di Tokali, e il Monastero di Kizlar. La più importante è senza dubbio la Chiesa della fibbia (Tokali Kilise), con la sua architettura imponente e i suoi splendidi affreschi che illustrano la vita di Gesù e dei santi.
In tutta l’area di Goreme, ma anche in tante altre parti della Turchia, l’architettura delle chiese rupestri e la loro cristianità complessa e articolata che compenetra la roccia a vividi colori, contrastano con quello stereotipo inciso nel cuore e nella mente di tanti occidentali. In quest’area, ben lontana ideologicamente dalle orrende distruzioni talebane, simboli cristiani e vita musulmana si amalgamano in armonia. Una piccola lezione che dura da secoli.
Pochi chilometri separano Goreme dalla rupe di Uçhisar, un grandioso picco tufaceo caratterizzato da centinaia di cavità, dalla cui sommità si gode un meraviglioso panorama sull'intera area, che si dipana tra pendii che dal giallo degradano al rosa e al grigio. Osservando dall'alto si nota la continua commistione tra l’azione dell’uomo e quella della natura, tra un mondo che non c’è più - quello degli antichi monaci ed eremiti cristiani - e la vita quotidiana, che ha preso possesso di molte abitazioni rupestri e ha punteggiato il tufo di piccionaie, il cui guano, periodicamente raccolto, contribuisce alla fertilità del terreno.
La civiltà cristiana ritorna nelle città sotterranee di Kaymakli e Derinkuyu. Questi anonimi villaggi nascondono infatti un mondo al contrario, che si sviluppa verso il centro della terra. La città di Kaymakli si articola in ben otto livelli - scavati per 45 metri di profondità in una friabile roccia tufacea - che si estendono su un’area impressionante per dimensione e complessità costruttiva. Alveari umani che, con tutta probabilità, avevano la funzione di ingegnosi bunker, costruiti attorno a camini di aerazione e dotati di gigantesche pietre che ne assicuravano la perfetta chiusura rispetto al mondo esterno. Il percorso, davvero suggestivo, si svolge tra abitazioni, scale, chiese, silos, tombe. A una decina di chilometri ecco la città di Derinkuyu che si insinua nelle profondità della terra attraverso 12 livelli. Derinkuyu, le cui caratteristiche ricalcano appieno quelle di Kaymakli, raggiunge l’impressionante profondità di 85 metri.
Il monte Nemrut racchiude il significato dell’Anatolia, della sua antica storia. La sommità del Nemrut Dagi, a oltre duemila metri d’altitudine, è un immenso santuario funerario, eretto nel I secolo a.C. dal re Antioco I del regno dei Commageni. Due enormi terrazze celebrano, in grandiose statue, le divinità greche e persiane e il re stesso che, nel solco della tradizione orientale, è elevato a dio. Le terrazze contornano un tumulo di pietra che costituisce la tomba di Antioco, della quale, però, non è ancora stato scoperto l’accesso. Purtroppo il sito risente fortemente del tempo trascorso, ma le tante colossali teste che si elevano dalla polvere del monte Nemrut riescono a far comprendere la grandiosità del progetto architettonico, la sua immensa valenza politica e spirituale. Al tramonto, i raggi del sole conferiscono all'intera area un fascino unico.
La moderna e popolosa Sanliurfa, se può essere interessante per la presenza di un vivace bazar, lo è ancora di più per il suo profondo significato storico. Già città ittita, divenne l'Edessa macedone che, in epoca più recente, assunse un fondamentale ruolo nella diffusione della religione cristiana nell'area. Per quasi mille anni la città fu contesa tra arabi, bizantini, armeni, franchi, selgiuchidi, sino a che venne definitivamente annessa all'impero Ottomano. Di questa antica e tormentata storia rimane ben poco nell'odierna Sanliurfa, ma sono interessanti le cosiddette Vasche sacre di Abramo. Infatti, secondo la tradizione, il patriarca – tra l’altro venerato da tutte le tre grandi religioni monoteiste – si sarebbe fermato proprio qui prima di raggiungere il paese di Canaan. In città meritano una visita la cittadella fortificata di epoca crociata, la Medresa Abd ar-Rahman e il Malkam el-Halil con il suo minareto quadrato di epoca duecentesca.
Poco distante da Sanliurfa (circa 20 km), gli scavi del sito archeologico di Göbekli Tepe hanno riscritto la linea temporale della civiltà umana portando alla luce la straordinaria architettura in pietra del più antico tempio religioso al mondo, risalente a circa 12 mila anni fa, ed entrato nella lista del patrimonio mondiale dell'UNESCO nel 2018.
Verso il confine con la Siria merita un’escursione la città di Harran, uno dei siti storici più antichi che si conoscano, citato nella Genesi, e protagonista di infiniti scontri da quelli degli antichi hurriti, alle lotte tra Roma e i Parti, sino alle crociate e all’invasione mongola. Interessante la cittadella, la moschea Ulu Cami, le porte ar-Rum e ar-Raqqua.
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Il nostro viaggio in Turchia prosegue in Anatolia, la storica regione centrale, così misteriosa e affascinante, che racconta una Turchia cristiana, una terra dove gli elementi della natura hanno giocato nello scolpire le forme strane e bizzarre della Cappadocia, dove la mano del tempo incontra, a più riprese, quella dell’uomo, nelle sue credenze, nella sua volontà di fuggire il mondo o di volerlo dominare. In ogni caso, per chi avesse nostalgia della Turchia più classica, quella delle Porte Scee, affacciate sulla costa del Mediterraneo e sull'arcipelago del Dodecaneso, suggeriamo un’intensa lettura di viaggio: “Omero, Iliade” di Alessandro Baricco, che riscrive, con una prosa vicinissima ai nostri tempi, la vicenda che, da millenni, affascina l’umanità.
Il nostro tragitto ci porta a Konya, adagiata su un brullo altopiano della steppa, città moderna e antica, dove il parco dei divertimenti si contrappone alla scuola teologica selgiuchide di Karatay; dove i giardini che cingono la villa del sultano Kiliç Arslan introducono alle maestose strutture della grande Moschea di Alaedin, completamente immersa nel verde; dove, soprattutto, è forte un profondo sentimento religioso che esplode nel Mevlana museum. Konya, infatti, è la città di Mevlana (Celaleddin Rumi) fondatore dell’ordine dei Dervisci danzanti.
Il museo è un vero capolavoro. Da non perdere la Fontana delle abluzioni, la Sala delle Cerimonie, la Tomba di Mevlana e le stanze che illustrano la vita derviscia. La filosofia di Mevlana, uno dei più importanti mistici islamici, si fonda sull’amore universale da trovare, in maniera estatica, attraverso una danza liberatoria che elimina l’uomo dalle difficoltà e dal dolore della vita di tutti i giorni. Il movimento rotatorio di questa danza, cuore del rituale Sema, ha portato a definire i Dervisci come “danzanti” o “rotanti”.
Il tufo, i vulcani, l’erosione. Sono questi gli elementi primari che costituiscono la Cappadocia. Se poi, come è avvenuto, si aggiunge l’azione dell’uomo, ecco un capolavoro. Le sue improbabili formazioni tufacee sono il frutto della fantasia della natura, della sua pazienza nel lavorare, plasmare e levigare la pietra. Una pietra amica dell’uomo, che per la sua docilità è stata scavata, perforata e abitata da generazioni che qui si sono rifugiate, hanno pregato, hanno vissuto e, ancora oggi, vivono, tra paesaggi che mutano in relazione alla luce, alla forza esercitata dalla mano della natura col suo scalpello, dolce o devastante.
Entriamo in Cappadocia in modo originale, puntando verso una meta poco conosciuta, ma che merita una visita per il suo significato storico. Il sultanato di Konya, infatti, si collegava alla Persia attraverso una trafficata pista carovaniera che, in epoca tardo medioevale, faceva tappa al caravanserraglio di Sultanhani. Costruito tra il 1232 e il 1236, Sultanhani è un interessante esempio dell’architettura selgiuchide che intervalla torrette a contrafforti di differenti fogge e dimensioni.
Il primo appuntamento con la Cappadocia più conosciuta è, invece, qualcosa di sconvolgente. L’area dei famosi “Camini di fata”. Strane e affascinanti formazioni rocciose, che la superstizione popolare ha legato alla presenza di creature magiche e fantastiche. Alcune strutture raggiungono anche i 40 metri d’altezza e, ancora una volta, lasciano esterrefatti al cospetto della forza e della fantasia degli elementi naturali. Zelve, però, non è solo un tempio della natura, il suo tufo, tra cui spuntano piccoli vigneti, è punteggiato di caverne, cappelle, rifugi, abitazioni rupestri, mulini, frantoi, buie gallerie da esplorare armati di torcia elettrica. Tra gli anfratti più interessanti: la Chiesa delle Uva (Uzumlu Kilise) e quella del Cervo (Geyikli Kilise).
Goreme è un’infinita concentrazione di monasteri e cappelle scavate nella roccia. Improvvisamente sembra di essere in Grecia, affreschi in stile orientale emergono dal tufo e ci riportano alla vita monastica e cristiana dell’epoca alto medievale. L’Open Air Museum, un nome che contrasta enormemente con la spiritualità e l’antichità del luogo, ospita oltre trenta chiese rupestri, tra le quali, per bellezza e fascino, spiccano quella di Çarikli, di Santa Caterina, di Yilanli, di Santa Barbara, di Elmali, di Tokali, e il Monastero di Kizlar. La più importante è senza dubbio la Chiesa della fibbia (Tokali Kilise), con la sua architettura imponente e i suoi splendidi affreschi che illustrano la vita di Gesù e dei santi.
In tutta l’area di Goreme, ma anche in tante altre parti della Turchia, l’architettura delle chiese rupestri e la loro cristianità complessa e articolata che compenetra la roccia a vividi colori, contrastano con quello stereotipo inciso nel cuore e nella mente di tanti occidentali. In quest’area, ben lontana ideologicamente dalle orrende distruzioni talebane, simboli cristiani e vita musulmana si amalgamano in armonia. Una piccola lezione che dura da secoli.
Pochi chilometri separano Goreme dalla rupe di Uçhisar, un grandioso picco tufaceo caratterizzato da centinaia di cavità, dalla cui sommità si gode un meraviglioso panorama sull'intera area, che si dipana tra pendii che dal giallo degradano al rosa e al grigio. Osservando dall'alto si nota la continua commistione tra l’azione dell’uomo e quella della natura, tra un mondo che non c’è più - quello degli antichi monaci ed eremiti cristiani - e la vita quotidiana, che ha preso possesso di molte abitazioni rupestri e ha punteggiato il tufo di piccionaie, il cui guano, periodicamente raccolto, contribuisce alla fertilità del terreno.
La civiltà cristiana ritorna nelle città sotterranee di Kaymakli e Derinkuyu. Questi anonimi villaggi nascondono infatti un mondo al contrario, che si sviluppa verso il centro della terra. La città di Kaymakli si articola in ben otto livelli - scavati per 45 metri di profondità in una friabile roccia tufacea - che si estendono su un’area impressionante per dimensione e complessità costruttiva. Alveari umani che, con tutta probabilità, avevano la funzione di ingegnosi bunker, costruiti attorno a camini di aerazione e dotati di gigantesche pietre che ne assicuravano la perfetta chiusura rispetto al mondo esterno. Il percorso, davvero suggestivo, si svolge tra abitazioni, scale, chiese, silos, tombe. A una decina di chilometri ecco la città di Derinkuyu che si insinua nelle profondità della terra attraverso 12 livelli. Derinkuyu, le cui caratteristiche ricalcano appieno quelle di Kaymakli, raggiunge l’impressionante profondità di 85 metri.
Il monte Nemrut racchiude il significato dell’Anatolia, della sua antica storia. La sommità del Nemrut Dagi, a oltre duemila metri d’altitudine, è un immenso santuario funerario, eretto nel I secolo a.C. dal re Antioco I del regno dei Commageni. Due enormi terrazze celebrano, in grandiose statue, le divinità greche e persiane e il re stesso che, nel solco della tradizione orientale, è elevato a dio. Le terrazze contornano un tumulo di pietra che costituisce la tomba di Antioco, della quale, però, non è ancora stato scoperto l’accesso. Purtroppo il sito risente fortemente del tempo trascorso, ma le tante colossali teste che si elevano dalla polvere del monte Nemrut riescono a far comprendere la grandiosità del progetto architettonico, la sua immensa valenza politica e spirituale. Al tramonto, i raggi del sole conferiscono all'intera area un fascino unico.
La moderna e popolosa Sanliurfa, se può essere interessante per la presenza di un vivace bazar, lo è ancora di più per il suo profondo significato storico. Già città ittita, divenne l'Edessa macedone che, in epoca più recente, assunse un fondamentale ruolo nella diffusione della religione cristiana nell'area. Per quasi mille anni la città fu contesa tra arabi, bizantini, armeni, franchi, selgiuchidi, sino a che venne definitivamente annessa all'impero Ottomano. Di questa antica e tormentata storia rimane ben poco nell'odierna Sanliurfa, ma sono interessanti le cosiddette Vasche sacre di Abramo. Infatti, secondo la tradizione, il patriarca – tra l’altro venerato da tutte le tre grandi religioni monoteiste – si sarebbe fermato proprio qui prima di raggiungere il paese di Canaan. In città meritano una visita la cittadella fortificata di epoca crociata, la Medresa Abd ar-Rahman e il Malkam el-Halil con il suo minareto quadrato di epoca duecentesca.
Poco distante da Sanliurfa (circa 20 km), gli scavi del sito archeologico di Göbekli Tepe hanno riscritto la linea temporale della civiltà umana portando alla luce la straordinaria architettura in pietra del più antico tempio religioso al mondo, risalente a circa 12 mila anni fa, ed entrato nella lista del patrimonio mondiale dell'UNESCO nel 2018.
Verso il confine con la Siria merita un’escursione la città di Harran, uno dei siti storici più antichi che si conoscano, citato nella Genesi, e protagonista di infiniti scontri da quelli degli antichi hurriti, alle lotte tra Roma e i Parti, sino alle crociate e all’invasione mongola. Interessante la cittadella, la moschea Ulu Cami, le porte ar-Rum e ar-Raqqua.
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