Messico: Yucatán, Chiapas, Quintana Roo
“Buscar el Levante por el Poniente”. Una frase ingenua, quasi senza senso. Eppure, alla fine del Quattrocento, questa semplice affermazione, tradotta in realtà da Cristoforo Colombo, rivoluziona il mondo. Nella vecchia Europa, il peso dell'oltreoceano si sentirà solo molti decenni più tardi e il vero significato di queste “scoperte” si avvertirà solo con il trascorrere dei secoli. Ma per chi da sempre abita il “nuovo” mondo è in arrivo un terremoto, un evento che spazza via secoli di storia e cultura, inghiotte uomini, donne, villaggi, città e civiltà.
Testo di Cristiano Pinotti, foto di Angelo Fanzini
Lucenti armature che sovrastano focosi destrieri si abbattono come un uragano sull'intera America che, di lì a poco, diverrà latina. La tecnologia superiore si impone su un mondo colto ma, sotto molti punti di vista, arretrato. La forza delle armi, delle scoperte e della fede europea divengono un rullo che schiaccia uomini e cose e, in pochi decenni, trasforma città e villaggi in reperti archeologici: tante “Ercolano e Pompei” prive del Vesuvio.
Persi gli uomini, di queste antiche civiltà sono rimaste le pietre, alcuni gioielli, poche statue. Le città vuote, a poco a poco, sono tornate patrimonio della natura che, pietra dopo pietra, se n'è impossessata, quasi a creare una sorprendente scenografia, allestita per gli eredi di quei navigatori e di quei soldati che decretarono la fine del mondo al di là dell'oceano. Così appaiono molte località del Messico, quel Messico che sogna gli Stati Uniti, che in tante sue parti ricorda la Spagna, in cui, ancora oggi, si respira l'atmosfera Maya, fuggita dalla riviera che la ricorda nel toponimo, ma che vive, in modo palpabile, tra le rovine e nei piccoli villaggi della penisola dello Yucatán e dello stato del Chiapas.
Punto di partenza del nostro viaggio è la città di Cancun, aeroporto privilegiato per chi voglia esplorare i siti archeologici della penisola dello Yucatan. Oltre ad una sontuosa offerta alberghiera, che si affaccia sulle bianchissime spiagge bagnate dall'Atlantico, offre ampie possibilità per il noleggio di auto. Il nostro tour, pur non disertando le più interessanti testimonianze coloniali, sarà essenzialmente un percorso nelle terre dei Maya, nel tentativo di comprendere qualcosa in più di questo popolo, delle sue eccezionali capacità astronomiche, della sua religione infarcita di riti sanguinari, della sua cultura che, purtroppo, ha incrociato l'irresponsabile furia integralista dei “Conquistadores” cattolici.
Malgrado le tante avversità cui è stata sottoposta, la cultura maya, a tanti secoli dalla sua scomparsa come “civiltà”, ha ancora tante cose da raccontarci, basta saper osservare. Ancora oggi, al pari di tanti popoli precolombiani, i Maya esistono ancora nell'identità indios e il loro destino è assimilabile a quello delle popolazioni amazzoniche o, più a nord, ai nativi delle grandi praterie.
Chichén Itzá
Il primo assaggio Maya lascia senza fiato. Chichén Itzá, benché gli snob dell'escursionismo “non si lascino incantare” da un sito archeologico così popolare e frequentato, è, in realtà, un vero spettacolo. In questo luogo dove fantasia e archeologia si incontrano, si sono incrociate due culture, quella dei Maya, che hanno abitato l'area fino al IX secolo e quella dei Toltechi, che l'hanno invasa al termine del XI secolo. La commistione di queste due civiltà ha generato un'architettura unica nel panorama dello Yucatán.
L'intera città riecheggia delle raffigurazioni di Chac, il dio della pioggia, di Quetzalcóatl, il serpente piumato e di infiniti sacrifici umani, parte integrante della religiosità Maya e Tolteca. Chichén Itzá, come si può facilmente capire dalla sontuosità dei suoi resti archeologici, era una città di primaria importanza, poi la capitale politica fu trasferita a Mayapán, e Chichén mantenne il primato religioso. La città era comunque ancora meta di pellegrinaggi anche dopo il suo definitivo abbandono avvenuto, per cause ancora da decifrare, nel XIV secolo.
Tra le principali attrazioni del sito: la Piramide di Kukulcán, il cosiddetto Castillo, il Templo de los Guerreros e il Juego de Pelota. El Castillo è un'opera di eccezionale bellezza e complessità: la trasposizione in pietra del calendario Maya. I quattro, imponenti, lati sono divisi da altrettante colossali scalinate che vanno a formare 18 terrazzi, traslazione architettonica dei 18 mesi del calendario dell'Anno Vago. Le scalinate, a loro volta, sono composte da 91 gradini ciascuna che, uniti alla piattaforma finale, vanno a conteggiare i 365 giorni dell'anno. Al suo interno questo colossale calendario nasconde una più antica piramide, famosa per il trono del giaguaro rosso.
Dalla sommità del Castillo lo sguardo si volge all'imponente sequenza del portico delle mille colonne (Patio de las Mil Columnas), e all'adiacente Tempio dei Guerrieri (Templo de los Guerreros), una piramide sormontata dalla celebre statua del Chacmool, figura divinizzata a cui si rivolgevano sacrifici umani per placare la sete di sangue che caratterizzava gli dei della civiltà precolombiana. Ai suoi lati due enormi pilastri di pietra rappresentano il serpente piumato.
Spettacolare per ampiezza è il campo principale per il Gioco della palla (Juego de Pelota), le cui regole pare abbiano subito varie evoluzioni con il trascorrere del tempo: da un esclusivo uso di gomiti e ginocchia a un uso di una sorta di mazza utilizzata per centrare con la palla i grandi anelli in pietra. Le belle incisioni lungo i muri che delimitano il campo, lasciano intuire come la sorte dei perdenti non fosse delle più piacevoli.
Merida e la Ruta Puuc
L'attuale capitale dello Yucatán, Merida, è un'interessante città dal ricco passato che offre non pochi spunti dal punto di vista architettonico e culturale, tanto da meritarsi l'appellativo di "Città bianca" per i numerosi ed eleganti edifici di epoca coloniale. Nella Plaza Mayor, al posto dell'originale tempio Maya, sorge la severa cattedrale cinquecentesca di San Ildefonso; Casa Montejo, costruita dal fondatore della città, offre invece la possibilità di ammirare una villa coloniale della metà del cinquecento con una ricca facciata plateresca; sull'altro lato della piazza il municipio (Palacio del Ayuntamiento) dal caratteristico loggiato sormontato dalla torre dell'orologio. Poco distante meritano una visita il Palacio de Gobierno, l'iglesia de Jesus e il piccolo ma gradevole mercato.
Merida è particolarmente interessante per due musei: il Gran Museo del Mundo Maya e il Museo Regionale di Antropologia e Storia. Moltissimi dei reperti archeologici rinvenuti nelle principali città Maya dello Yucatán arricchiscono le loro sale che, anche attraverso grafici e fotografie, consentono di comprendere le usanze, la cultura e il livello artistico raggiunto dalle popolazioni precolombiane.
Merida è la “porta” ideale per entrare nell'area archeologica denominata “Via Puuc”. Si segue la carretera 261 in direzione sud lungo basse colline, piuttosto aride, che movimentano il monotono paesaggio che porta a Uxmal. Espressione della raffinata architettura del tardo periodo classico (600-900 d.C.), Uxmal è anche un pregevole esempio delle capacità ingegneristiche Maya e si contraddistingue per una serie di cisterne finalizzate alla conservazione dell'acqua. L'approvvigionamento idrico era infatti un problema di assoluta preminenza causa l'assenza di fiumi superficiali e la natura carsica del territorio, come è testimoniato dall'assidua presenza di raffigurazioni di Chac, il dio della pioggia.
All'interno dell'area archeologica di Uxmal spicca la spettacolare Piramide dell'Indovino (Piramide del Adivino), una costruzione a pianta ovale su 5 livelli, di oltre 35 metri di altezza, con la facciata principale riccamente decorata. Al suo lato il misterioso Quadrilatero delle Monache (Cuadrangulo de las Monjas), un'impressionante struttura di ben 74 stanze, adornate dalle sculture dell'onnipresente volto di Chac. Davanti al Cuadrangulo ecco il campo da gioco della palla, sovrastato dalla Casa delle Tartarughe (Casa de las Tortugas).
Poco oltre è la volta del Palazzo del Governatore (Palacio del Gobernador), l'autentico capolavoro dell'architettura Puuc. E' composto da un lungo edificio diviso in tre settori uniti tra loro mediante archi, la cui facciata, riccamente decorata da splendide sculture e fregi a mosaico, è guardata a vista dal trono del giaguaro. La visita si conclude con la Grande Piramide, di oltre 30 metri d'altezza. Dalla cima del tempio si gode una meravigliosa vista sull'intero sito archeologico, e sulle cuspidi triangolari che adornano El Palomar.
Lungo la Ruta Puuc spiccano numerosi altri siti archeologici che corrispondono ad altrettante città satelliti di Uxmal: Kabah, Sayil, Xlapak, Labná e più a sud Edzná sono piccole perle che nella complessità delle loro architetture contribuiscono, attraverso le parole delle pietre, a riscrivere l'affascinante storia di questo popolo. Ogni singolo sito rappresenta un tassello di quello splendido mosaico che è l'architettura in stile Puuc. A circa 20 km a sud di Uxmal ecco la prima di queste meraviglie: Kabah, con il suo palazzo Codz Poop (Palacio de las Mascaras) dal quale emergono lungo l'intera facciata oltre 250 maschere raffiguranti Chac, facilmente riconoscibile per gli occhi fissi e sbarrati, un pronunciato naso adunco ed evidenti denti sporgenti.
A una decina di chilometri sorge l'area archeologica di Sayil dove spicca il bellissimo ed estremamente elaborato Palazzo a tre piani (El Palacio), contraddistinto da un'immensa facciata di circa 85 metri: una continua alternanza di colonne e maschere divine. Pochi chilometri ed ecco Labná, un'area archeologica di assoluto interesse. Per il suo famoso Arco, l'osservatorio (El Mirador) e il Palacio di notevoli dimensioni con numerose incisioni, ma anche per la magica atmosfera che lo circonda, con la vegetazione che avvolge il Palacio e il lungo viale che collega gli edifici, Labná riesce ad evocare l'incredibile fascino dell'esplorazione.
Campeche
Torniamo all'atmosfera spagnola, a Campeche, sul golfo del Messico. Capitale dell'omonimo stato federale, Campeche è stata dichiarata patrimonio dell'umanità e in effetti, il suo centro storico è uno splendido esempio di architettura coloniale e militare. Delle spesse mura che difendevano la città dalle numerose incursioni piratesche, sono rimasti i celebri Baluartes, tra i quali sono visitabili quelli di Santiago, de San Pedro e de la Soledad che ospita una collezione di stele Maya provenienti dal sito di Edzná.
Decisamente interessante sono poi gli eleganti e colorati palazzi in stile coloniale del centro e la secentesca Cattedrale dell'Immacolata Concezione. Tra i pezzi pregiati di Campeche è il Museo de la Cultura Maya, ospitato nel Fuerte de San Miguel, che nonostante la ridotte aree espositive raccoglie alcuni reperti di inestimabile bellezza (gioielli, vasi, maschere, armi, statuette…) tra i quali spiccano le maschere funerarie in giada provenienti dal sito di Calakmul. Lo stesso forte, comunque, merita una visita. Protetto da fossato e ponte levatoio, è un compatto complesso difeso da cannoni, dalla cui sommità si gode di un superbo panorama.
Il Chiapas
E' tempo di lasciare la penisola dello Yucatan per il Chiapas. Un lungo trasferimento lungo la carretera federal 261 fino a Escársega, e poi ancora a sud lungo la carretera 181 ci consente di raggiungere la mitica Palenque. Visitare il Chiapas vuol dire entrare nel profondo sud del Messico, una regione dove le rivolte zapatiste, della metà degli anni Novanta, a favore delle popolazioni indigene, hanno lasciato in eredità un esperimento di autonomia sociale e politica nella quale si riconoscono migliaia di indios organizzati in villaggi comunitari. Un’area dove la bellezza coloniale di San Cristobal de las Casas contrasta con una natura fatta di montagne, di giungla, di una vegetazione che nasconde siti archeologici di struggente bellezza, o regala scorci naturalistici che tolgono il fiato.
Il sito archeologico di Palenque è l’essenza stessa del Chiapas. La sua maestosità architettonica, il cui apogeo è databile tra il 600 e l’800 d.C., riemerge da una foresta selvaggia e primitiva che aggiunge ulteriore fascino e mistero alla solennità delle costruzioni Maya. Ma benché la vegetazione del Chiapas svolga un ruolo determinante, Palenque gode di uno splendido stato di conservazione e i suoi quasi cinquecento edifici offrono uno spettacolo che non è azzardato definire eccezionale. Scegliere in tanta magnificenza non è agevole, comunque sono assolutamente da non perdere il Tempio de las Inscripciones, El Palacio e il Grupo de la Cruz, oltre il museo del sito.
Il più grande e imponente edificio di Palenque è il Tempio delle Iscrizioni, una piramide a 8 piani di oltre 25 metri di altezza che custodisce la cripta funeraria di Pakal (il cui scheletro, adorno di gioielli, riposa ora a Città del Messico), il re dal piede deforme, costruttore di molti degli edifici cittadini. Le numerosissime iscrizioni che adornano le pareti del tempio che sovrasta la piramide, narrano la storia di Palenque e del tempio stesso. Nel cuore della piramide, la tomba di Pakal è un’ampia stanza dalle pareti decorate a stucco. Il coperchio del sarcofago raffigura, in un bellissimo bassorilievo, la resurrezione del re. L’intero edificio, di per sé eccezionalmente spettacolare, acquista ulteriore fascino se si riesce ad immaginarlo nei suoi originari e brillanti colori, tra i quali spiccava un rosso vivo.
Un dedalo di corridoi, stanze e cortili caratterizzano il Palazzo, la residenza della famiglia reale e della sua corte. Mentre il cosiddetto Gruppo della Croce è formato da quattro templi che onorano il figlio di Pakal, Chan-Balum: il Tempio del Sol ne commemora, attraverso le sue incisioni, la nascita e l’incoronazione, mentre anche il Tempio de la Cruz, il più grande dell’intero gruppo, e il Tempio XIV al loro interno presentano interessanti iscrizioni, infine il Tempio de la Cruz Foliada mette in evidenza le foglie di mais, una delle piante più importanti per l’alimentazione dei Maya. Infine merita una visita il museo del sito archeologico che, oltre ad esporre numerosi dei ritrovamenti della città, offre un’interpretazione approfondita della storia di Palenque.
La Carretera Federal 199 che da Palenque raggiunge San Cristobal de las Casas, per quanto lunga e faticosa, offre l’opportunità di conoscere le bellezze naturalistiche del Chiapas. Ad Agua Azul, il rio Usumancita regala, infatti, uno spettacolo straordinario: decine di cascatelle che si tuffano in limpide piscine naturali strappate alla giungla. Agua Clara è un’altra meraviglia dovuta al Rio Shumulhá; mentre lo spettacolo più intenso, è forse quello offerto da Misol-Ha, dove l’omonimo fiume precipita in una spettacolare cascata di oltre 30 metri, che si fa largo tra la vegetazione lussureggiante.
Una delle più antiche città di stampo europeo dell’intero continente americano. San Cristobal de las Casas è stata fondata nel 1528 e prende il nome da Bartolomé de las Casas, vescovo che, per primo, si schierò dalla parte degli indios, seguito, un secolo dopo, dall’episcopo Juan de Zapata y Sandoval e, alla fine del Novecento, da Samuel Ruiz, a lungo titolare della cattedra del Chiapas. La città, simbolo dell’impari lotta tra dignitari di origine spagnola e indios, è anche una gradevolissima cittadina dall'architettura coloniale posta ad oltre 2.000 metri di altitudine.
Tra i suoi monumenti: la cattedrale, il Templo de Santo Domingo, il Tempio del Carmen e il Palacio Municipal, ma è soprattutto nel caleidoscopio di colori delle facciate delle sue case, dipinte a tinte calde e forti, nelle botteghe artigiane e nei mercati etnici che si scoprono l'anima e le tradizioni di un luogo quasi sospeso nel tempo. Nei suoi dintorni, l’altopiano di San Cristobal è costellato da numerosi villaggi di diverse etnie indios, in cui persistono costumi e eredità culturali che non hanno ceduto allo strapotere dei conquistadores.
I siti di Rio Bec
Ripercorrere a ritroso verso nord il medesimo tragitto dell’andata fino a Escársega, e poi ancora a est, in direzione di Chetumal, capitale dello stato di Quintana Roo, è lo sforzo necessario per completare l'anello della penisola yucateca. Avrete modo così di risalire la costa caraibica orientale lungo la carretera 307 fino a Cancun e scoprire le bellezze storiche e naturalistiche della Riviera Maya. A metà del trasferimento da Escarsega a Chetumal si incontrano i siti di "Río Bec", un complesso di circa 12 aree archeologiche visitabili. E' la giungla incontaminata a dominare un territorio completamente pianeggiante e a nascondere ancora tante testimonianze Maya, come l'interessante sito di Calakmul, altre più facili da raggiungere, danno la possibilità di avvicinare il cosiddetto stile “Río Bec”, caratterizzato da lunghi e bassi edifici, sormontati da alte torri. Nel sito di Chicanná una grande apertura, contornata da un mosaico in pietra a forma di bocca di serpente, caratterizza la Estructura II, mentre il vicino sito di Becán vanta edifici di grande pregio, come la cosiddetta Estructura VIII, un grande tempio con due torri gemelle; e l'Estruttura IX, la costruzione più elevata dell'intero sito.
La Riviera Maya
Sono circa 200 i chilometri che si allineano con il sole in una striscia di terra che imita da vicino il biblico Eden: la Riviera Maya. Di fronte, la seconda barriera corallina al mondo per importanza. All'interno, un entroterra fitto di bassa vegetazione tropicale e “cenotes”, specchi d’acqua dolce purissima dalle più capricciose forme. Ovunque, la risonanza di ancestrali profezie che hanno nell'eredità maya il loro vanto più eclatante.
Da qualsiasi punto la si guardi, la Riviera Maya evoca bellezza, con la natura del Caribe messicano a perdita d’occhio e l’urgenza di un progresso che non tarda a farsi sentire. Siamo nella costa orientale dello Stato di Quintana Roo, cornice di una regione di mezzo milione di chilometri quadrati, chiamata Mondo Maya, che è insieme un mondo e un habitat dove sopravvivono numerose specie animali, una ricchissima flora e autentiche comunità indigene che conservano ancora inalterata la cultura dei loro lontani progenitori.
Come una scatola cinese, la Riviera Maya è fatta di tante piccole meraviglie incastrate in altre più grandi e famose come i siti archeologici (Tulum), le spiagge più gettonate (Playa del Carmen, Puerto Morelos) o le metropoli turistiche di stampo internazionale (Cancun). Vale la pena, allora, scoprire che oltre a Tulum esiste Cobà, un’antica città maya completamente immersa nella giungla, e che tra Tulum e Playa del Carmen si trovano due tra i Parchi naturalistici più grandi del Messico, Xcaret e Xel-Hà, un patrimonio ambientale di portata considerevole a cui contribuisce anche la più grande Riserva della Biosfera della costa caraibica yucateca, Sian Ka’an.
Riserva della Biosfera di Sian Ka’an
Sian Ka’an, ovvero “dove nasce il cielo”, o “dono del cielo”. Questo luogo mitico e mistico è stato dichiarato Riserva Ecologica nel 1986, per essere un anno dopo inserito nel programma dell’Unesco “L’Uomo e la Biosfera”. Presupposti imprescindibili questi, per intuire il fascino prezioso di un ambiente dove vivono più animali che uomini (circa 2000 abitanti sparsi più che altro tra Punta Herrero e Punta Allen) in un’estensione di 52 chilometri da nord a sud per un totale di circa 700 mila ettari, ovvero la più grande area protetta del Caribe messicano.
I numeri della Riserva sono grandiosi: 103 specie di mammiferi (dal giaguaro al puma, dall'ocelot alla scimmia urlatrice, dai procioni ai tapiri, dai pecari agli enormi granchi di terra), 345 specie di uccelli (specie endemiche come il tigrisoma mexicanum, un enorme airone dal piumaggio striato) e diverse specie di rettili. Non essendoci sentieri escursionistici nella riserva, il modo migliore è di esplorarla con una guida professionista al seguito. A Punta Allen sono presenti guide specializzate in storia naturale e ornitologia che organizzano visite per appassionati per gruppi di cinque-sei persone.
Lungo la strada che collega Punta Allen a Tulum esistono piccole e semi sconosciute realtà maya yucateche, dove è possibile entrare in contatto con un ambiente protetto ed eccezionale sia dal punto di vista ambientale che umano.
Tra queste, Punta Laguna ed Esmeralda dove – sempre scortati da guide esperte – si possono praticare le più svariate attività per entrare in contatto con la natura in maniera diretta: dalla carrucola a picco sulla laguna, al bagno nel cenote con o senza lancio nel vuoto.
Tulum e Cobà
A questi splendori naturali, la Riviera Maya associa le preziose rovine delle antiche città maya, fotografie un po’ sbiadite di un grandioso progetto che intendeva tradurre sulla terra geometrie di altri mondi. L’ispirazione divina della raffinata architettura maya è ancora oggi visibile in quel che resta di costruzioni che lasciano trasparire perfette sincronie di terra e cielo, cifre e astri, in un ingegnoso amalgama di ingegneria esoterica che non finisce di stupire.
“Capitale” del Mondo Maya è Tulum, il sito archeologico più famoso della Riviera, in gran parte grazie alla sua posizione a strapiombo sul Mar dei Caraibi. Anche in questo caso, il nome originario maya dice molto di più delle successive e varie interpretazioni sulla località, in un certo senso sopravvalutata a fini turistici. Tulum per i maya voleva dire “alba”, in riferimento sì allo spettacolo letterale del sorgere del sole sul Mar dei Caraibi, ma verosimilmente anche in riferimento alla nascita di una nuova epoca, quella successiva alla colonizzazione spagnola per far fronte alla quale la città-fortezza avrebbe modificato il suo assetto con la massiccia cinta muraria.
La maggior parte delle costruzioni risalgono al periodo databile intorno al 1200-1500 d.C., e poche sono ancora visibili. Tra le principali spiccano El Castillo, rigorosamente orientato verso Est e dedicato alla principale divinità maya, il dio Kukulcàn (il serpente piumato caro anche agli Aztechi e Toltechi con il nome di Quetzalcoatl), e il Tempio del Dio Discendente, ornato da bassorilievi. Ciascun elemento architettonico presente a Tulum è affidato a geometrie regolate sulla base del sorgere del sole ed è questa la reale grandezza del luogo, al di là di quel poco che resta da visitare.
Meno famosa di Tulum ma per certi versi più significativa, è la vicina Cobà, una delle più grandi città maya del Periodo Classico. Ancora una volta il riferimento d’obbligo è con la lingua madre. Cobà vuol dire “acque torbide”, in riferimento ai cinque laghi della regione: Cobà, Macanxoc, Sacalpuc, Yaxlaguna e Xcanh. La visita di questo sito regala la sensazione insieme benefica e terrificante di una natura esorbitante: le rovine si trovano, infatti, in piena giungla tropicale e bisogna addentrarsi in sentieri fangosi tra cortecce urticanti e ripide pendenze prima di giungere alle principali costruzioni del sito, tra tutte la Grande Piramide, Nohoch Mul.
E’ questa la più alta piramide di tutta la Penisola dello Yucatan e dai suoi 42 metri si gode lo spettacolo della selva da cui spuntano le costruzioni di pietra disseminate nella fitta selvaggia vegetazione. Non prima di aver scalato 120 gradini. Avvicinarsi a questi giganti di pietra circondati da selvagge atmosfere è come entrare in una macchina del tempo astronomica. Tale si può definire tutta l’architettura maya, una complessa eppur semplicissima rifinitura terrena di meccaniche divine. Oltre alla Grande Piramide, un’altra struttura imponente a Cobà è il Tempio delle Chiese, che svetta quasi all’ingresso dell’area archeologica, dedicato alla dea della fertilità, Ixchel, l’antica dea della luna.
Parco di Xel-Hà
Se Sian Ka’an nasce dal cielo è all’acqua che bisogna rivolgersi per ringraziare di un’altra meravigliosa creazione: Xel-Hà. Si trova 10 km a nord di Tulum – e per questo visitabile in una stessa giornata – il parco tematico di Xel-Hà, il cui nome originario in lingua maya designa il luogo “dove nascono le acque”. E non potrebbe definizione associarsi meglio a un posto come Xel-Hà, un paradiso subacqueo che vanta una laguna dalle incredibili sfumature cromatiche con il turchese come tonalità maggiore. Con lo stesso nome si indica sia il parco sia il sito archeologico, ubicati ad est e ad ovest, rispettivamente, della strada federale 307. Il sito fu utilizzato in epoca preispanica come centro di traffici marini, a causa della conveniente posizione geografica lungo le coste del Mar dei Caraibi.
Le rovine sono classificate per gruppi, in base alla loro ubicazione nell'aria: il gruppo Los Pàjaros, il gruppo del Jaguar, il gruppo Muelle. Si passa da affreschi con rappresentazioni di diversi uccelli a figure di felini, con la sensazione di una presenza ancora viva di qualche divinità animale, così cara al mondo maya. Una leggenda locale affida la nascita di questo luogo alle divinità, frutto di amore e sapienza soprannaturale e con iguane e pesci pappagallo come “guardiani di Xel-Hà”. Effettivamente, di iguane se ne incontrano davvero tante, soprattutto nel parco ecologico dove condividono il passeggio con i visitatori. Anche a Xel-Hà la benedizione dell’acqua è d’obbligo, anzi delle acque, visto che la laguna è frutto dell’incontro armonioso di fiume e mare, dolce e salato. Da cui l’appellativo maya “luogo dove nascono le acque”.
Xcaret
Il parco ecologico di Xcaret si trova a non più di 5 chilometri a sud di Playa del Carmen, lungo la strada federale 307. Il suo nome significa “piccola cala” in riferimento alla sua posizione, proprio all'interno di una delle cale più importanti del territorio. Fulcro di scambi commerciali al tempo dei Maya, oggi il luogo si classifica come un parco eco-archeologico finalizzato alla diffusione della cultura messicana in generale e maya in particolare, nonché alla tutela dell’ambiente. L’intima adesione alla natura è il messaggio finale che l’esperienza di una giornata nel parco affida ai suoi visitatori.
Distribuite in circa 130 ettari, le meraviglie di Xcaret condensano il meglio della natura tropicale messicana dove la fanno da padroni i “cenotes”, fiumi o pozze d’acqua dolce rivestiti dalla sacralità ereditata dai Maya dove immergersi in personali riti di purificazione o più mondane avventure in snorkeling con maschera e pinne. Un intero ecosistema partecipa alla seduzione di questo paradiso naturale: sciami di farfalle, più di 30 specie di uccelli, insieme a rettili, tartarughe e coccodrilli, nonché mammiferi, scogliere coralline allineate di fronte alle coste. Insieme all’acqua e agli odori della giungla, anche la pietra fa la sua parte e si trovano sparse qua e là costruzioni e monumenti maya corrispondenti al Medio e tardo periodo post-Classico (1200-1550 d.C.), fino all’arrivo degli spagnoli nella zona.
A sera lo scenario muta spessore, leggermente filtrato dall’intervento umano; prendono vita spettacoli ispirati al modo Maya, e tra le caverne effluvi di “copal” con il sottofondo dei “tunkules”, i tamburi in legno usati dai Maya come accompagnamenti musicali dei loro rituali. L’anfiteatro del parco ospita uno spettacolo che ripercorre le varie tappe della storia del Messico proponendo musiche e danze di tutte le regioni. Particolarmente suggestiva la prima parte dedicata ai Maya e al loro gioco preferito, la “pelota”, il gioco a palla detto anche pok-ta-pok.
In questo viaggio tra archeologia e natura si fondono e confondono, nomi di uomini, animali e dei; e non tardano a riempire l’immaginario di figure ancestrali e pensieri retrogradi su come potesse essere la vita di questi minuti e stravaganti esseri umani che hanno creato una delle civiltà più complesse al mondo. Ed è il nome dei Maya che maggiormente risuona in questo microcosmo a loro dedicato, fatto di chilometri e chilometri di giungla tropicale e isole al largo della costa del Quintana Roo.
Sprazzi di paradiso terrestre che ai Maya sarebbe piaciuto chiamare Xibalba, mondo invisibile (o “inframondo”) denso di impenetrabili segreti. Ecco come tuffarsi in un cenote dall’acqua pura e limpida può voler dire entrare nella bocca di Xibalba penetrando lo spirito di un mondo invisibile. Suggestioni da tenersi strette, in una terra dove il turismo sta seminando forse più del dovuto. Ma questa è un’altra storia.
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