Spagna: Toledo, La Mancia e Valencia
La Mancha è la terra del Quijote. Di quell'idealista e strampalato eroe cantato da Miguel de Cervantes Saavedra. Una terra aspra, torrida nelle assolate giornate estive; tremendamente fredda la notte, quando le stelle punteggiano il cielo testimone delle improbabili imprese del cavaliere dalla triste figura. Questa Spagna è una terra che sa di letteratura.
Ad ogni passo c'è uno scorcio del primo romanzo moderno: le ombre disegnano la caracollante andatura dell'hidalgo e del suo fido scudiero, le pale dei mulini riportano alla mente la loro più rocambolesca e famosa avventura, intrisa di inguaribile e furioso amore per ideali, infinitamente lontani da una realtà cruda e per nulla poetica.
Questa Spagna è una strada che dalla millenaria Toledo dipana il suo percorso in vaste distese di campi che si perdono all'orizzonte fino a Cuenca. Qua e là una collina, un borgo. La solitudine, nella Mancha, non è un sentimento, ma qualcosa di palpabile, una suggestione che riempie l'abisso del cavaliere errante: la Ruta de Don Quijote.
Testo di Cristiano Pinotti
Toledo
Un'ansa del Tago abbraccia la città di Toledo, stretta tra la sua cattedrale, uno dei migliori esempi gotici dell'intera Spagna e l'Alcazar, immancabile a queste latitudini. Quest'ultimo è un imponente edificio a pianta quadrata che domina la città, che deve le proprie origini al glorioso periodo della riconquista. Incendiato a più riprese, ha subito pesanti restauri che hanno quasi totalmente nascosto la sua architettura medioevale. Di tutt'altro spessore architettonico è la maestosa cattedrale, impressionante per ricchezza e dimensioni.
La fabbrica della cattedrale fu un immenso cantiere che si protrasse nei secoli, proprio per questo il duomo di Toledo è un sovrapporsi di stili che si innestano sul primitivo gotico spagnolo. Cappelle mozarabiche si intrecciano con slanci quattrocenteschi, giochi barocchi e cadute neoclassiche. Infiniti i capolavori da ammirare: la Puerta del Perdon (il portale centrale); la gotico-plateresca Puerta de los leones; la Puerta del Reloj; la Capilla de San Blas (nel chiostro); le vetrate fiamminghe; la Capilla Mozarabe; il coro e i suoi magnifici stalli in legno intagliato; la Capilla Major, la Sala del Capitolo con il suo soffitto mudejar; e, infine, il museo della cattedrale contenente ben 15 dipinti di El Greco, oltre a opere di Goya, Tiziano, Ribera, Van Dick e Morales.
Girovagando per la città di El Greco, merita una visita il Museo de Santa Cruz, ospitato nell'antico ospedale, che raccoglie opere del pittore, collezioni di arte applicata e un'importante raccolta archeologica; la gotica chiesa di S. Tomè, che ospita il capolavoro “Il funerale del Conte di Orgaz” di El Greco; la casa e museo di El Greco stesso, che si trova nel barrio Judio (il ghetto); la sinagoga detta del Transito, oggi museo Sefardì, con interni che lasciano senza fiato; S. Maria la Blanca, antica sinagoga trasformata in chiesa dai cavalieri di Calatrava.
Da non perdere anche il monastero di S. Juan de los Reyes con il chiostro splendidamente decorato in stile mudejar; la chiesa di San Roman, la più antica di Toledo, sede del museo della cultura Visigota, e poi ancora le porte della città: la Puerta Vieja de Bisagra, la Nueva, la moresca Puerta del Sol. Il miglior panorama sulla città lo si gode percorrendo il cosiddetto giro dei Cigarrales, che bordeggia il Tago fino a raggiungere il Castello di San Servando.
La Ruta de Don Quijote
Lasciata la magnifica Toledo lo sguardo si rivolge a sud e a Consuegra si rintracciano i segni della Ruta de Don Quijote. La cittadina si raccoglie ai piedi del castello, le cui origini si perdono con quelle della città stessa. L'antico “castrum” romano è modificato e fortificato durante tutto il medioevo. Nel 1183, la fortezza diviene patrimonio dell'Ordine di San Giovanni di Gerusalemme e cambia nuovamente aspetto: i muri divengono più alti e più spessi, si complica e si migliora l'intero impianto difensivo, i monaci guerrieri adeguano la struttura architettonica alle necessità del cavaliere crociato. Il carattere difensivo scema a poco a poco e il castello diviene metafora di dominio, di potere che ancora traspare.
Poco distante, lungo la collina, l'elemento che caratterizza l'intero paesaggio chisciottesco: i mulini a vento, i bianchi giganti che roteano le braccia nel vento della Mancha. Undici mulini che punteggiano un breve tratto di strada, non anonimi, ma vive opere dell'uomo - create per la trasformazione del grano in farina - che salutano il viaggiatore con i loro nomi esotici: “Rancho”, “Rucio”, “Bolero”, “Alcancia”, “Espartero”… Alcuni, trasformati in musei, permettono di entrare nell'ingegnosità che ha trasformato la forza del vento in energia eolica, altri, semplicemente belli da guardare, consentono di entrare nelle pieghe del libro di Cervantes.
I mulini a vento che scandiscono il desolato paesaggio sono il marchio di fabbrica della Mancha. Le loro pareti imbiancate a calce si stagliano sull'azzurro del cielo, mentre il silenzio è squarciato dall'insistente belato delle capre al pascolo. Tra Campo de Criptana e Mota del Cuervo (dove si possono ammirare anche i resti di un castello) i mulini divengono una costante della Ruta del Quijote. Non lontano ecco "Venta de Don Quijote", dove l'hidalgo tenne la sua veglia d'armi, ed El Toboso, paese natale di Dulcinea, la contadina angelicata dall'animo di Don Chisciotte. La biblioteca della cinquecentesca Casa di Dulcinea conserva tutte le edizioni del romanzo di Cervantes.
Come per tutte le storie degne di essere raccontate, ecco una digressione che nulla a che fare con il libro di Cervantes. È la città-fortezza di Belmonte, costruita nel XV secolo ad opera dei marchesi di Villena. Le sue armoniche proporzioni architettoniche celano meravigliosi soffitti mudejar e una interessante Collegiata in cui spiccano stalli in legno scolpito. Lasciata Belmonte ancora un lungo tratto di strada silenziosa attende il viaggiatore fino ai primi contrafforti della Serrania de Cuenca.
Cuenca
In posizione spettacolare alla confluenza dei fiumi Jucar e Huecar, ecco Cuenca, il capoluogo di questo frammento di Castiglia-La Mancha. El Quijote non galoppa più al nostro fianco, al suo posto ci sono storia, arte e natura. La prima è rappresentata dalla cattedrale, dal museo archeologico, dal castello, ma soprattutto dalle Casas Colgadas. Autentico simbolo della città, si tratta di abitazioni trecentesche sospese nel vuoto, aggrappate a un precipizio che da settecento anni si affacciano sulle acque del fiume Huecar, e che offrono il meglio alle tremule luci del tramonto. L'arte contemporanea ha trovato dimora proprio tra queste mura. I muri gotici delle Casas Colgadas offrono il supporto per una prestigiosa collezione di opere che raccolgono il meglio dell'astrattismo spagnolo.
Tra Cuenca e la Ciudad Encantada è ancora il paesaggio a farla da padrone. La strada diviene tortuosa, si dipana nella Serrania tra gole e canyon, entra nel gioco della natura, segue l'erosione degli elementi naturali che si sublimano nello strepitoso paesaggio fatto di roccia. La Ciudad Encantada è tutto questo: un magico labirinto di pietra e vento, dove la fantasia della natura ha disegnato un paesaggio che la ragione dell'uomo cerca, con i suoi improbabili toponimi, di ridurre a qualcosa di misurabile e, in parte, decifrabile.
Valencia
Lasciati gli spazi immaginifici della Mancha, il contrasto più netto non potrebbe riservarlo altri che Valencia. La si potrebbe ribattezzare come “città verde nata dal fiume”, aggiungendo però un dettaglio fondamentale: che il fiume non c’è più. Valencia è una sorta di miracolo urbanistico scaturito dall'intraprendenza di famosi architetti e designer e dall'imprinting locale votato alla sostenibilità ambientale. Da alveo in secca, riconvertito in un parco culturale urbano dopo la grande inondazione del 1957, il fiume Turia è oggi la spina dorsale di Valencia, un immenso polmone verde che collega gli estremi della città: 9 chilometri (interamente ciclabili) fitti di vegetazione dove si susseguono parchi, musei e ponti che raccontano la storia della città, antica e moderna.
A percorrerli tutti, si val sul sicuro anche se si ha poco tempo in quanto si incontrano alcune delle aree più interessanti della Valencia di ultima generazione, come il Bioparco e la Città delle Arti e delle Scienze. Siamo nel cuore del nuovo corso del Turia, centro di gravità dell’innovativa pianificazione urbanistica che ha reso Valencia una delle città più verdi ed eco-sostenibili d’Europa. Si possono ancora ammirare i ponti costruiti sul fiume che ora disegnano il profilo del parco (Jardìn) del Turia tramandando una storia risalente addirittura a cinque secoli fa. Nei pressi del Turia sorgono i principali spazi culturali di Valencia disposti in una sequenza di luoghi ameni (giardini, orti botanici, lagune, boschi di pini e gelsi) alternati ad ampie prospettive sul paesaggio urbano scandito da 12 tramos, ovvero “porzioni” che si articolano, appunto, tra i ponti monumentali che collegano le due sponde della città.
L’ultimo tratto del Jardìn racchiuso tra il Puente del Angel Custodio e il Puente Monteolivete confluisce, senza soluzione di continuità, nella Città delle Arti e delle Scienze progettata dall'architetto Santiago de Calatrava. Questa “cittadella delle arti” (un work in progress che continua ad evolversi come fosse un essere vivente), è un polo avveniristico dedicato alla cultura a 360 gradi che si sviluppa in un’area di 350 mila metri quadrati e che spicca senz'altro come il maggiore complesso ludico-culturale d’Europa. Come accennato, si tratta di opere-in-evoluzione, alcune realizzate già da anni, come ad esempio l’Emisfero, un gigantesco occhio che si ricompone con lo specchiarsi nell'acqua, il cui bulbo e il cui centro sono il planetario stesso. La monumentale palpebra che si apre e si chiude, mostrando la nuda forma del globo interno, ha la funzione di accesso alla sala del planetario (il Teatro Omnimax).
La firma di importanti architetti ha contribuito a rendere di sicuro impatto visivo questo polo attrattivo valenciano che ha l’impronta avveniristica inconfondibile di Calatrava nel tocco conferito al Palazzo delle Arti Reina Sofìa, al citato Emisfero, al Museo della Scienza Principe Felipe e all'Agorà, oppure di Félix Candela che ha segnato lo stile dell’enorme costruzione dell’Oceanografico. E’ questo il più grande acquario d’Europa che ospita qualcosa come 45mila creature degli abissi in scenari ad alta spettacolarità come per esempio le vasche di squali ed enormi razze, che circondano i visitatori fin sopra la testa essendo concepite come una sorta di tunnel immersivo in cui gli animali sembrano quasi volare sopra le teste, consentendo una visione davvero inedita di queste specie acquatiche sensazionali. Nell'Oceanografico ci si immerge letteralmente nei principali ecosistemi marini del pianeta.
Un altro tipo di viaggio è quello che si compie entrando al Museo delle Scienze Principe Felipe che si presenta come una sorta di paese dei balocchi per i piccoli Einstein del futuro. L’ambiente si compone di vari spazi interattivi dedicati alla biologia e alla fisica, ai misteri della vita e alla tecnologia, nonché ad esposizioni e tematiche temporanee. L’edificio in vetro si affaccia sull'acqua per restituire il gioco della trasparenza proprio delle vetrate esterne, mentre all'interno la struttura in cemento armato è composta da cinque enormi pilastri a forma di albero. Parallelo al Museo della Scienza e al Planetario si sviluppa, a un livello superiore, l'Umbracle ovvero uno spazio che funge da giardino, galleria d’arte all'aperto e parcheggio coperto allo stesso tempo.
Collocato su un livello superiore rispetto agli altri edifici è, invece, il Palazzo delle Arti Reina Sofia, lo specchio in cui forse meglio si riflette l’intuizione architettonica del complesso di Calatrava. Il ponte Monteolivete (dello stesso Calatrava) lo collega alle altre strutture e al suo interno ospita quattro grandi sale per spettacoli e musica, i cui volumi sono racchiusi in due gusci simmetrici di cemento. Sulla stessa lunghezza d’onda benché fuori dall'area specifica della Città delle Arti e delle Scienze si colloca il Palazzo della Musica con le vetrate che si affacciano sui Giardini del Turia al cospetto di una fontana i cui giochi d’acqua rispondono alle note di musica classica che emanano dal palazzo, dando vita, ad intervalli regolari, a un suggestivo spettacolo visivo e sonoro. Progettato dall'architetto José Marìa Paredes, il palazzo venne inaugurato nel 1987 ricevendo importanti plausi. Placido Domingo, ad esempio, ne ha paragonato l’acustica ad uno “Stradivarius”.
Quasi verso la fine dei 9 chilometri che ritmano idealmente il fluire di questo fiume culturale, si colloca il Bioparco, l’attrazione più visitata della città. La stessa esperienza immersiva dell’Oceanografico qui viene ripresentata all'ennesima potenza trasferendosi questa volta ad habitat terrestri, e per la precisione africani. L’idea è stata quella di ricostruire specifici ecosistemi africani (Madagascar, savana, zone umide, foresta equatoriale) in cui le relative specie potessero continuare la loro vita davanti agli occhi dei passanti, con un particolare occhio di riguardo per quelle in via di estinzione. Niente gabbie né recinti per gli animali, dunque, e per i visitatori un percorso a piedi che introduce nei vari ambienti come in un safari in cui si ha la percezione diretta di ambienti davvero speciali che vogliono invitare ad una maggiore riflessione e consapevolezza.
Vi si possono incontrare più di 4000 esemplari appartenenti a oltre 250 specie diverse. Il raro suono dei lemuri malgasci, lo sbadiglio ingombrante di un ippopotamo, le tenerezze compulsive di piccole manguste, lo sguardo intenso di un gorilla a cui manca davvero solo la parola, la corsa sfrenata di una iena bloccata solo da un fiume abbastanza profondo da tenerla a distanza, il bagno di elefanti e l’incedere sinuoso di una gru dal collo nero: sono molte le suggestioni che restano dopo una “zoo immersion” (come la chiamano i depliant di promozione del parco) in questo angolo d’Africa trapiantato a Valencia, che allo zoo non somiglia nemmeno lontanamente.
Il mezzo migliore per godersi i panorami e le attrazioni dei 9 km di fiume culturale valenciano è la bicicletta. Tanto più che la città mette a disposizione un servizio pubblico chiamato Valenbisi, disponibile 24 ore su 24 e che offre più di 2.500 biciclette, distribuite in 275 punti strategici della città. Si può tranquillamente raccogliere la propria bicicletta in un punto e restituirla in un altro.
Un'ansa del Tago abbraccia la città di Toledo, stretta tra la sua cattedrale, uno dei migliori esempi gotici dell'intera Spagna e l'Alcazar, immancabile a queste latitudini. Quest'ultimo è un imponente edificio a pianta quadrata che domina la città, che deve le proprie origini al glorioso periodo della riconquista. Incendiato a più riprese, ha subito pesanti restauri che hanno quasi totalmente nascosto la sua architettura medioevale. Di tutt'altro spessore architettonico è la maestosa cattedrale, impressionante per ricchezza e dimensioni.
La fabbrica della cattedrale fu un immenso cantiere che si protrasse nei secoli, proprio per questo il duomo di Toledo è un sovrapporsi di stili che si innestano sul primitivo gotico spagnolo. Cappelle mozarabiche si intrecciano con slanci quattrocenteschi, giochi barocchi e cadute neoclassiche. Infiniti i capolavori da ammirare: la Puerta del Perdon (il portale centrale); la gotico-plateresca Puerta de los leones; la Puerta del Reloj; la Capilla de San Blas (nel chiostro); le vetrate fiamminghe; la Capilla Mozarabe; il coro e i suoi magnifici stalli in legno intagliato; la Capilla Major, la Sala del Capitolo con il suo soffitto mudejar; e, infine, il museo della cattedrale contenente ben 15 dipinti di El Greco, oltre a opere di Goya, Tiziano, Ribera, Van Dick e Morales.
Girovagando per la città di El Greco, merita una visita il Museo de Santa Cruz, ospitato nell'antico ospedale, che raccoglie opere del pittore, collezioni di arte applicata e un'importante raccolta archeologica; la gotica chiesa di S. Tomè, che ospita il capolavoro “Il funerale del Conte di Orgaz” di El Greco; la casa e museo di El Greco stesso, che si trova nel barrio Judio (il ghetto); la sinagoga detta del Transito, oggi museo Sefardì, con interni che lasciano senza fiato; S. Maria la Blanca, antica sinagoga trasformata in chiesa dai cavalieri di Calatrava.
Da non perdere anche il monastero di S. Juan de los Reyes con il chiostro splendidamente decorato in stile mudejar; la chiesa di San Roman, la più antica di Toledo, sede del museo della cultura Visigota, e poi ancora le porte della città: la Puerta Vieja de Bisagra, la Nueva, la moresca Puerta del Sol. Il miglior panorama sulla città lo si gode percorrendo il cosiddetto giro dei Cigarrales, che bordeggia il Tago fino a raggiungere il Castello di San Servando.
La Ruta de Don Quijote
Lasciata la magnifica Toledo lo sguardo si rivolge a sud e a Consuegra si rintracciano i segni della Ruta de Don Quijote. La cittadina si raccoglie ai piedi del castello, le cui origini si perdono con quelle della città stessa. L'antico “castrum” romano è modificato e fortificato durante tutto il medioevo. Nel 1183, la fortezza diviene patrimonio dell'Ordine di San Giovanni di Gerusalemme e cambia nuovamente aspetto: i muri divengono più alti e più spessi, si complica e si migliora l'intero impianto difensivo, i monaci guerrieri adeguano la struttura architettonica alle necessità del cavaliere crociato. Il carattere difensivo scema a poco a poco e il castello diviene metafora di dominio, di potere che ancora traspare.
Poco distante, lungo la collina, l'elemento che caratterizza l'intero paesaggio chisciottesco: i mulini a vento, i bianchi giganti che roteano le braccia nel vento della Mancha. Undici mulini che punteggiano un breve tratto di strada, non anonimi, ma vive opere dell'uomo - create per la trasformazione del grano in farina - che salutano il viaggiatore con i loro nomi esotici: “Rancho”, “Rucio”, “Bolero”, “Alcancia”, “Espartero”… Alcuni, trasformati in musei, permettono di entrare nell'ingegnosità che ha trasformato la forza del vento in energia eolica, altri, semplicemente belli da guardare, consentono di entrare nelle pieghe del libro di Cervantes.
I mulini a vento che scandiscono il desolato paesaggio sono il marchio di fabbrica della Mancha. Le loro pareti imbiancate a calce si stagliano sull'azzurro del cielo, mentre il silenzio è squarciato dall'insistente belato delle capre al pascolo. Tra Campo de Criptana e Mota del Cuervo (dove si possono ammirare anche i resti di un castello) i mulini divengono una costante della Ruta del Quijote. Non lontano ecco "Venta de Don Quijote", dove l'hidalgo tenne la sua veglia d'armi, ed El Toboso, paese natale di Dulcinea, la contadina angelicata dall'animo di Don Chisciotte. La biblioteca della cinquecentesca Casa di Dulcinea conserva tutte le edizioni del romanzo di Cervantes.
Come per tutte le storie degne di essere raccontate, ecco una digressione che nulla a che fare con il libro di Cervantes. È la città-fortezza di Belmonte, costruita nel XV secolo ad opera dei marchesi di Villena. Le sue armoniche proporzioni architettoniche celano meravigliosi soffitti mudejar e una interessante Collegiata in cui spiccano stalli in legno scolpito. Lasciata Belmonte ancora un lungo tratto di strada silenziosa attende il viaggiatore fino ai primi contrafforti della Serrania de Cuenca.
Cuenca
In posizione spettacolare alla confluenza dei fiumi Jucar e Huecar, ecco Cuenca, il capoluogo di questo frammento di Castiglia-La Mancha. El Quijote non galoppa più al nostro fianco, al suo posto ci sono storia, arte e natura. La prima è rappresentata dalla cattedrale, dal museo archeologico, dal castello, ma soprattutto dalle Casas Colgadas. Autentico simbolo della città, si tratta di abitazioni trecentesche sospese nel vuoto, aggrappate a un precipizio che da settecento anni si affacciano sulle acque del fiume Huecar, e che offrono il meglio alle tremule luci del tramonto. L'arte contemporanea ha trovato dimora proprio tra queste mura. I muri gotici delle Casas Colgadas offrono il supporto per una prestigiosa collezione di opere che raccolgono il meglio dell'astrattismo spagnolo.
Tra Cuenca e la Ciudad Encantada è ancora il paesaggio a farla da padrone. La strada diviene tortuosa, si dipana nella Serrania tra gole e canyon, entra nel gioco della natura, segue l'erosione degli elementi naturali che si sublimano nello strepitoso paesaggio fatto di roccia. La Ciudad Encantada è tutto questo: un magico labirinto di pietra e vento, dove la fantasia della natura ha disegnato un paesaggio che la ragione dell'uomo cerca, con i suoi improbabili toponimi, di ridurre a qualcosa di misurabile e, in parte, decifrabile.
Valencia
Lasciati gli spazi immaginifici della Mancha, il contrasto più netto non potrebbe riservarlo altri che Valencia. La si potrebbe ribattezzare come “città verde nata dal fiume”, aggiungendo però un dettaglio fondamentale: che il fiume non c’è più. Valencia è una sorta di miracolo urbanistico scaturito dall'intraprendenza di famosi architetti e designer e dall'imprinting locale votato alla sostenibilità ambientale. Da alveo in secca, riconvertito in un parco culturale urbano dopo la grande inondazione del 1957, il fiume Turia è oggi la spina dorsale di Valencia, un immenso polmone verde che collega gli estremi della città: 9 chilometri (interamente ciclabili) fitti di vegetazione dove si susseguono parchi, musei e ponti che raccontano la storia della città, antica e moderna.
A percorrerli tutti, si val sul sicuro anche se si ha poco tempo in quanto si incontrano alcune delle aree più interessanti della Valencia di ultima generazione, come il Bioparco e la Città delle Arti e delle Scienze. Siamo nel cuore del nuovo corso del Turia, centro di gravità dell’innovativa pianificazione urbanistica che ha reso Valencia una delle città più verdi ed eco-sostenibili d’Europa. Si possono ancora ammirare i ponti costruiti sul fiume che ora disegnano il profilo del parco (Jardìn) del Turia tramandando una storia risalente addirittura a cinque secoli fa. Nei pressi del Turia sorgono i principali spazi culturali di Valencia disposti in una sequenza di luoghi ameni (giardini, orti botanici, lagune, boschi di pini e gelsi) alternati ad ampie prospettive sul paesaggio urbano scandito da 12 tramos, ovvero “porzioni” che si articolano, appunto, tra i ponti monumentali che collegano le due sponde della città.
L’ultimo tratto del Jardìn racchiuso tra il Puente del Angel Custodio e il Puente Monteolivete confluisce, senza soluzione di continuità, nella Città delle Arti e delle Scienze progettata dall'architetto Santiago de Calatrava. Questa “cittadella delle arti” (un work in progress che continua ad evolversi come fosse un essere vivente), è un polo avveniristico dedicato alla cultura a 360 gradi che si sviluppa in un’area di 350 mila metri quadrati e che spicca senz'altro come il maggiore complesso ludico-culturale d’Europa. Come accennato, si tratta di opere-in-evoluzione, alcune realizzate già da anni, come ad esempio l’Emisfero, un gigantesco occhio che si ricompone con lo specchiarsi nell'acqua, il cui bulbo e il cui centro sono il planetario stesso. La monumentale palpebra che si apre e si chiude, mostrando la nuda forma del globo interno, ha la funzione di accesso alla sala del planetario (il Teatro Omnimax).
La firma di importanti architetti ha contribuito a rendere di sicuro impatto visivo questo polo attrattivo valenciano che ha l’impronta avveniristica inconfondibile di Calatrava nel tocco conferito al Palazzo delle Arti Reina Sofìa, al citato Emisfero, al Museo della Scienza Principe Felipe e all'Agorà, oppure di Félix Candela che ha segnato lo stile dell’enorme costruzione dell’Oceanografico. E’ questo il più grande acquario d’Europa che ospita qualcosa come 45mila creature degli abissi in scenari ad alta spettacolarità come per esempio le vasche di squali ed enormi razze, che circondano i visitatori fin sopra la testa essendo concepite come una sorta di tunnel immersivo in cui gli animali sembrano quasi volare sopra le teste, consentendo una visione davvero inedita di queste specie acquatiche sensazionali. Nell'Oceanografico ci si immerge letteralmente nei principali ecosistemi marini del pianeta.
Un altro tipo di viaggio è quello che si compie entrando al Museo delle Scienze Principe Felipe che si presenta come una sorta di paese dei balocchi per i piccoli Einstein del futuro. L’ambiente si compone di vari spazi interattivi dedicati alla biologia e alla fisica, ai misteri della vita e alla tecnologia, nonché ad esposizioni e tematiche temporanee. L’edificio in vetro si affaccia sull'acqua per restituire il gioco della trasparenza proprio delle vetrate esterne, mentre all'interno la struttura in cemento armato è composta da cinque enormi pilastri a forma di albero. Parallelo al Museo della Scienza e al Planetario si sviluppa, a un livello superiore, l'Umbracle ovvero uno spazio che funge da giardino, galleria d’arte all'aperto e parcheggio coperto allo stesso tempo.
Collocato su un livello superiore rispetto agli altri edifici è, invece, il Palazzo delle Arti Reina Sofia, lo specchio in cui forse meglio si riflette l’intuizione architettonica del complesso di Calatrava. Il ponte Monteolivete (dello stesso Calatrava) lo collega alle altre strutture e al suo interno ospita quattro grandi sale per spettacoli e musica, i cui volumi sono racchiusi in due gusci simmetrici di cemento. Sulla stessa lunghezza d’onda benché fuori dall'area specifica della Città delle Arti e delle Scienze si colloca il Palazzo della Musica con le vetrate che si affacciano sui Giardini del Turia al cospetto di una fontana i cui giochi d’acqua rispondono alle note di musica classica che emanano dal palazzo, dando vita, ad intervalli regolari, a un suggestivo spettacolo visivo e sonoro. Progettato dall'architetto José Marìa Paredes, il palazzo venne inaugurato nel 1987 ricevendo importanti plausi. Placido Domingo, ad esempio, ne ha paragonato l’acustica ad uno “Stradivarius”.
Quasi verso la fine dei 9 chilometri che ritmano idealmente il fluire di questo fiume culturale, si colloca il Bioparco, l’attrazione più visitata della città. La stessa esperienza immersiva dell’Oceanografico qui viene ripresentata all'ennesima potenza trasferendosi questa volta ad habitat terrestri, e per la precisione africani. L’idea è stata quella di ricostruire specifici ecosistemi africani (Madagascar, savana, zone umide, foresta equatoriale) in cui le relative specie potessero continuare la loro vita davanti agli occhi dei passanti, con un particolare occhio di riguardo per quelle in via di estinzione. Niente gabbie né recinti per gli animali, dunque, e per i visitatori un percorso a piedi che introduce nei vari ambienti come in un safari in cui si ha la percezione diretta di ambienti davvero speciali che vogliono invitare ad una maggiore riflessione e consapevolezza.
Vi si possono incontrare più di 4000 esemplari appartenenti a oltre 250 specie diverse. Il raro suono dei lemuri malgasci, lo sbadiglio ingombrante di un ippopotamo, le tenerezze compulsive di piccole manguste, lo sguardo intenso di un gorilla a cui manca davvero solo la parola, la corsa sfrenata di una iena bloccata solo da un fiume abbastanza profondo da tenerla a distanza, il bagno di elefanti e l’incedere sinuoso di una gru dal collo nero: sono molte le suggestioni che restano dopo una “zoo immersion” (come la chiamano i depliant di promozione del parco) in questo angolo d’Africa trapiantato a Valencia, che allo zoo non somiglia nemmeno lontanamente.
Il mezzo migliore per godersi i panorami e le attrazioni dei 9 km di fiume culturale valenciano è la bicicletta. Tanto più che la città mette a disposizione un servizio pubblico chiamato Valenbisi, disponibile 24 ore su 24 e che offre più di 2.500 biciclette, distribuite in 275 punti strategici della città. Si può tranquillamente raccogliere la propria bicicletta in un punto e restituirla in un altro.
Madrid e la Castiglia | La Mancia e Valencia | Spagna Verde